Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Osservazioni in ordine alla neo introdotta prova per testi nel processo tributario (di Ludovico Nicotina)


La legge di riforma recante “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario”, approvata dal Parlamento nell’ambito dell’attuazione del PNRR, introduce nel diritto processuale tributario la prova testimoniale scritta sul modello di quella prevista dall’art. 257 bis c.p.c. La nuova formulazione normativa, anche alla luce degli emendamenti approvati e rispetto alle precedenti proposte di riforma, appare apprezzabile, nonostante permanga il riferimento poco chiaro se non addirittura errato alla “pretesa tributaria” “fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso” e “soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”. Al riguardo, tuttavia, sembra sia stato colto il monito dottrinale che aveva ribadito come, la prova per testi, per mantenere utilità, dignità e funzione, debba essere svincolata da eccessive limitazioni.

Parole chiave: istruttoria processuale tributaria, prova testimoniale, onere probatorio, contraddittorio processuale, giusto processo tributario.

Remarks on the newly introduced testimonial evidence in the tax trial

The reform law on “Provisions concerning tax justice and tax trial”, approved by the Italian Parliament as part of the implementation of the National Recovery and Resilience Plan (NRRP), introduces the testimonial evidence in the tax trial, shaped on the one provided by Art. 257 bis of the Code of Civil Procedure. The new formulation, also in the light of the amendments approved and compared to previous reform proposals, appears to be appreciable, despite the fact that it remains unclear (if not even wrong) the reference to the “tax claim” “based on reports or other acts considered evidence until a complaint of forgery” and “only on factual circumstances other than those attested by the public official”. In this respect, however, the lawmaker seems to have implemented the scholars’ warning according to which, in order to maintain its usefulness, dignity and function, the testimonial evidence must be freed from excessive limitations.

Keywords: evidence-taking procedure in the tax trial, testimonial evidence, burden of proof, procedural audi alteram partem principle, fair tax trial.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La mancata previsione di una fase istruttoria nel processo tributario - 3. Il superamento del divieto di prova testimoniale nel processo tributario - 4. L’ammissione della prova testimoniale nel rito tributario e il ridimensionamento dei c.d. limiti materiali oggettivi, entro i quali la prova era stata costretta - 4.a. L’opportunità di non vincolare il libero convincimento del giudice - 4.b. La testimonianza a contestazione di pretese fondate su verbali e altri atti fideifacenti - 4.c. La prova per testi a fronte delle presunzioni - 4.d. La testimonianza nel processo tributario in rapporto all’istruttoria penale e all’accertamento dell’imputabilità dell’autore dell’illecito amministrativo tributario - 5. Divergenze tra il modello testimoniale delineato dall’art. 257 bis c.p.c. e quello ammesso nel rito processuale tributario: l’accordo tra le parti, l’im­pulso e la condizione di necessità - 5.a. L’accordo tra le parti - 5.b. L’iniziativa e la precisazione normativa degli oneri probatori delle parti - 5.c. La condizione della necessità - 6. La forma scritta e l’assunzione orale residuale - 7. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La riforma della giustizia tributaria, in attuazione del disegno di legge di matrice governativa recante “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario” [1], è intervenuta principalmente sul fronte ordinamentale [2], istituendo un giudice tributario di merito professionale a tempo pieno, togato e selezionato per concorso e, in seguito agli emendamenti approvati, individuato con la nuova terminologia di Corte di giustizia tributaria. Nonostante un intervento riformatore in tal senso fosse da tempo auspicato ed atteso [3], il nuovo assetto ordinamentale, quanto meno prima dell’intervento degli e­mendamenti parlamentari, è stato valutato, per lo più, insoddisfacente [4]. Per effetto degli emendamenti parlamentari, tuttavia, sono stati in buona parte risolti alcuni criticabili aspetti [5] anche relativi al ruolo della Cassazione [6] e, in merito a quest’ultima, è stata istituita per legge la Sezione specializzata tributaria [7]. In questa sede, s’intende soffermarsi, in particolare, sul novellato comma 4 dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, che introduce o, meglio, reintroduce tra le norme di rito la prova testimoniale [8]. Disposizione la quale, nell’iter approvativo ha subito interventi che potrebbero aver risolto, almeno in parte, alcune delle più serie criticità che affliggevano la formulazione governativa [9], sebbene tuttora ponga peculiari e non sempre chiare limitazioni all’ammissione della prova.


2. La mancata previsione di una fase istruttoria nel processo tributario

È opportuno rilevare che, nonostante sarebbe stato coerente con la previsione di ammissibilità della prova testimoniale, la riforma in esame non dedichi particolare attenzione alla fase istruttoria del processo tributario. La circostanza è significativa perché all’istruzione del processo tributario il D.Lgs. n. 546/1992, che resta il testo unico di riferimento, attribuisce ben poca rilevanza [10]. Questa caratteristica, in qualche misura, è spiegabile, poiché il processo tributario “reagisce” al provvedimento assunto in esito al procedimento amministrativo tributario. A fronte del rito impugnatorio l’istruttoria processuale, pertanto, sarebbe secondaria e limitata alla verifica di quella amministrativa primaria, già eseguita e sfociata nell’atto impugnabile genericamente inteso [11]. In vero, occorre impedire che un’inammissibile integrazione dell’istrut­toria amministrativa in sede processuale possa tradursi in un supplemento di motivazione dell’atto impugnato ovvero possa rimediare a carenze nell’at­tività accertativa dell’Amministrazione finanziaria [12]. Nondimeno la dottrina aveva suggerito l’opportunità di ribadire l’appli­cabilità della normativa di rito civile – in tema di tempi, modi e attività istruttorie – con un rinvio, che avrebbe potuto esplicitare al meglio anche i limiti di tale etero integrazione [13]. In particolare, una precisazione normativa dei tempi e dei modi dell’i­struttoria tributaria avrebbe offerto adeguata collocazione “temporale” allo stesso esercizio dei poteri istruttori già concessi al giudice tributario [14] ed ai quali si è aggiunto quello di ammettere la prova per testi. Agevolerebbe, in generale, l’ammissibilità delle prove costituende, qual è la testimonianza, consentendo apertamente anche all’etero integrazione dei mezzi istruttori [15]. Soprattutto, avrebbe rappresentato un’adeguata “cornice” normativa all’introdu­zione della prova per testi. Un corollario ideale se non anche essenziale, specie se non dovesse escludersi radicalmente la possibilità residuale di una audizione diretta e orale dei testimoni da parte del giudicante, come sembra potersi concludere per via del semplice rinvio, dinamico e formale, che il [continua ..]


3. Il superamento del divieto di prova testimoniale nel processo tributario

Il nuovo comma 4 dell’art. 7 prevede l’implementazione della prova testimoniale, ferma restando l’inammissibilità del giuramento [23]. Stabilisce, infatti, che: «Non è ammesso il giuramento. La Corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’art. 257 bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale» [24]. Un’ampia convergenza dottrinale riteneva necessario valorizzare le specificità della materia, che la rendono meritevole della sottoposizione ad un giudice speciale [25], e non sostiene, dunque, il principio di necessaria uniformità tra processi, che renderebbe superflua tale scelta [26]. Nondimeno, un medesimo comune sentire considera l’ammissione della prova per testi nel rito tributario come necessaria al ripristino di un contraddittorio sostanzialmente e non solo formalmente paritario tra le parti [27]. E, pertanto, quale necessario adeguamento al principio del giusto processo, di cui agli artt. 111 Cost. e 6 della CEDU [28]. Principi in base al quale un processo giusto non tollera alcuna forma di limitazione probatoria assoluta e che individuano gli elementi, indispensabili e necessariamente comuni a tutti i riti, affinché le procedure possano ritenersi legittime, identificando tra questi elementi anche la necessità di un contraddittorio isonomico [29]. L’ammissibilità della prova per testi si pone, pertanto, come necessaria al fine della «compiuta realizzazione del giusto processo tributario» [30]. In vero, in dottrina, l’opportunità di rimuovere il divieto è stata, per lo più, predicata in nome della necessità di rimediare alle diseguaglianze che altrimenti si rinverrebbero in danno al contribuente ricorrente ed alle difficoltà probatorie che quest’ultimo incontrerebbe nella difesa del proprio diritto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria [31]. Nondimeno, muovendo da questa premessa la prova per testi nel processo tributario ha rischiato di essere ammessa entro limiti [continua ..]


4. L’ammissione della prova testimoniale nel rito tributario e il ridimensionamento dei c.d. limiti materiali oggettivi, entro i quali la prova era stata costretta

La disposizione di matrice governativa sottoposta all’approvazione parlamentare ammetteva la prova solo se e in quanto la pretesa in contestazione fosse «fondata su verbali e altri atti facenti fede sino a querela di falso» e solo su «circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale» [32]. Condizioni delimitative, peraltro, sicuramente espresse in modo poco chiaro se non errato [33]. Limiti che mitigavano il divieto di testimonianza solo riguardo alla contestazione di elementi non assistiti da fede privilegiata contenuti in verbali e altri atti amministrativi posti a fondamento di atti tributari rappresentativi di pretese fiscali fatti oggetto di impugnazione [34]. Nella formulazione governativa, dunque, la prova avrebbe potuto essere ammessa sostanzialmente solo al fine di contestare il contenuto delle dichiarazioni di terzi raccolte a verbale e poste al fondamento della motivazione dell’atto impugnato [35]. Questa sembrava, infatti, essere l’unica possibile esegesi che attribuisse un qualche significato alla deplorevole littera legis della norma governativa [36]. Questo se e perché s’intende che la testimonianza non avrebbe potuto né potrebbe, naturalmente, sovvenire alla confutazione delle circostanze di fatto che il pubblico ufficiale annoti avvenute in sua presenza, essendo necessaria la querela di falso in ordine a quest’ultima eventuale contestazione, come peraltro ribadito tuttora pleonasticamente dalla disposizione in esame [37]. L’intervento parlamentare sembra aver reso meramente esemplificativa l’ipotesi che la prova sia ammessa a contestazione di pretese fondate su verbali e altri atti fideifacenti. Questa deprecabile formulazione è, infatti, rimasta pressoché inalterata nel testo approvato, ma è collocata in un secondo periodo, separato dall’affermazione dell’ammissibilità generale della prova da un punto. Questa circostanza consente, in base alle ordinarie regole sintattiche, di ritenere l’ipotesi meramente eventuale e non più condizione generale di ammissibilità della prova. Nella versione definitiva l’unica condizione generale è quella della valutazione di necessità da parte del giudicante, mentre l’ulteriore delimitazione appare riservata ai soli casi in cui la prova sia ammessa a fronte della contestazione di pretese [continua ..]


4.a. L’opportunità di non vincolare il libero convincimento del giudice

Si è accennato come il divieto di prova testimoniale nel processo tributario fosse considerato «retaggio di un sistema non pienamente garantista» [38]. Avrebbe potuto sorgere il dubbio, tuttavia, che la vetustà appartenesse, piuttosto, alla prova per testi, certamente la più antica che esista. La testimonianza è al fondamento della più primitiva delle istruttorie, potendo preesistere finanche alla scrittura. Questa origine così risalente, se, per certi versi, potrebbe ritenersi confermi la sua natura di prova fondamentale o basilare, al contrario potrebbe fondare il sospetto che proprio questo mezzo di prova costituisca ormai un retaggio, inadeguato all’evoluzione dei tempi e dei costumi. In questo senso, autorevole dottrina, riteneva trattarsi di «una disciplina che risente dell’ancestrale inquadramento dell’informazione dei terzi nell’am­bito della prova legale, che vincola il giudice e ne condiziona, più o meno, il libero convincimento, in netta contraddizione con l’evoluzione dei tempi, che dovrebbe, conclusivamente, portare all’eliminazione della prova testimoniale tipica persino dall’ambito del processo civile» [39]. La stessa dottrina evidenziava come l’inammissibilità della prova in esame fosse coerente con i poteri istruttori concessi al giudicante nel rito tributario [40]. Il diritto vivente delle corti, da tempo, avalla tecniche istruttorie alternative, che consentano al giudicante una maggiore elasticità valutativa. Attraverso la quale, peraltro, si ritiene possa esser meglio raggiunto lo scopo di realizzare, tramite il processo, una giustizia sostanziale e non solo la mera composizione autoritativa del conflitto tra le parti [41]. Indubbiamente, in atto, l’autorevolezza probatoria della testimonianza, specie sotto l’aspetto dell’affidabilità – attendibilità dei testimoni [42], è messa in discussione persino in ambiti nei quali essa, da sempre, è insostituibile, qual è quello penale [43]. In vero, i dubbi riguardo alla necessità di ammettere la prova per testi nel processo tributario sarebbero stati particolarmente fondati se la prova fosse rimasta circoscritta alla confutazione delle sole circostanze di fatto oggetto delle pretese contenute in atti e verbali amministrativi tributari fideifacenti, come era [continua ..]


4.b. La testimonianza a contestazione di pretese fondate su verbali e altri atti fideifacenti

La contestazione delle circostanze di fatto non assistite da fede privilegiata e riportate in atti e verbali, cui la norma tuttora si riferisce, sembra doversi identificare, per lo più, nei casi in cui la pretesa tragga fondamento da dichiarazioni di terzi raccolte e verbalizzate d’autorità dal Fisco. Ipotesi frequenti che potenzialmente introducono nel processo elementi probatori forieri di diseguaglianza sostanziale tra le parti. Non può affermarsi, infatti, sia acquisito il principio del contraddittorio procedimentale amministrativo tributario [44] e, pertanto, il contribuente ricorrente, non essendo titolare degli stessi poteri attribuiti all’Amministrazione finanziaria nel corso dell’istruttoria amministrativa [45], in carenza della possibilità di provare per testi nel processo, può incontrare difficoltà potenzialmente insormontabili. Tuttavia, la necessità della prova testimoniale, onde confutare le dichiarazioni dei terzi acquisite e verbalizzate dall’Amministrazione finanziaria, dovrebbe discendere dalla circostanza che a tali dichiarazioni si assegni valore di prova documentale piena [46], in quanto riportate nei processi verbali, i quali costituiscono parte integrante della motivazione degli atti accertativi impugnati [47]. Nondimeno, per giurisprudenza pressoché uniforme, le informazioni assunte dal Fisco, pur se contenute in atti istruttori e inserite nei verbali amministrativi, sono state intese quali semplici indizi liberamente valutabili dal giudicante [48]. Muovendo da tale premessa ed entro questi limiti, dunque, l’ammissione della prova per testi si sarebbe potuta ritenere non necessaria, poiché non sarebbe stato indispensabile e tuttora, forse, potrebbe ritenersi non necessario ammettere una prova piena a confutazione di quelle che per il diritto vivente della giurisprudenza non sono prove ma meri indizi o argomenti di prova [49]. L’assunto giurisprudenziale in questione, ormai acquisito nel diritto vivente, si accompagnava, peraltro, alla possibilità, anch’essa avallata dalla giurisprudenza [50], che il contribuente nel procedimento e il giudicante nel processo potessero raccogliere dichiarazioni con il medesimo valore indiziario a beneficio dei contribuenti [51]. Dichiarazioni che, dunque, avrebbero potuto e potrebbero ritenersi utili e sufficienti all’eventuale [continua ..]


4.c. La prova per testi a fronte delle presunzioni

L’esigenza di ammettere la prova per testi nel processo tributario si era da tempo affermata anche per via della rilevanza che nel rito in questione possono assumere le presunzioni, ancora una volta a causa della già annotata contiguità rispetto all’istruttoria amministrativa [56]. Sotto questo aspetto, anzi, dal 1981 il processo tributario ha costituito una rilevante eccezione rispetto a quanto disposto dal comma 2 dell’art. 2729 c.c., in virtù del quale «le presunzioni non si possono ammettere» nelle ipotesi in cui la legge escluda la prova per testimoni. La giurisprudenza ha argomentato l’inapplicabilità della disposizione civile in base alla natura della materia tributaria ed ai mezzi di indagine e poteri istruttori riconosciuti al giudice tributario, in misura assai più incisiva di quanto non accada nel processo civile [57]. Grazie ad un adeguato esercizio dei poteri istruttori concessi al giudice tributario, infatti, le presunzioni – rilevanti se gravi, precise concordanti – sarebbero comunque confutabili, nonostante l’inammissibilità della prova testimoniale. In un certo senso, dunque, si tratta di un corollario del precedente argomento, riguardante la contestazione delle dichiarazioni di terzi verbalizzate dall’Amministrazione [58]. Si sarebbe potuto sostenere, inoltre, che plurime, gravi, precise e concordanti dichiarazioni di terzi favorevoli al contribuente/ricorrente potessero costituire una prova utile al contribuente medesimo per contrastare la ricostruzione induttiva o presuntiva cui sia consentito ricorrere al Fisco, senza necessità d’introdurre la prova testimoniale [59]. Nondimeno, si è già rilevato come possa essere complesso per il contribuente raccogliere dichiarazioni a sé favorevoli e come anche l’esercizio del potere istruttorio, di cui già godeva il giudice tributario prima della riforma in esame, avrebbe dovuto essere regolato e precisato in tal senso. Si aggiunge, peraltro, che simile precisazione avrebbe, comunque, determinato l’esigenza di un’indagine istruttoria suppletiva, che avrebbe comportato un allungamento dei tempi del processo non diverso da quello che discende dall’assunzione della prova testimoniale [60]. In vero, la nuova prova testimoniale, strutturata su iniziativa del giudicante, sembra si configuri proprio come una [continua ..]


4.d. La testimonianza nel processo tributario in rapporto all’istruttoria penale e all’accertamento dell’imputabilità dell’autore dell’illecito amministrativo tributario

Com’è noto l’illecito tributario può avere rilievo esclusivamente amministrativo oppure penale. Le due fattispecie condividono sovente il medesimo sostrato fattuale. L’inammissibilità della prova per testi, traducendosi in una differente disciplina istruttoria tra processo penale e tributario, l’uno destinato all’accer­tamento del reato e irrogazione della pena l’altro alla impugnazione del provvedimento amministrativo, è stata inquadrata nell’ambito del doppio binario. Una scelta, dunque, nell’ottica della quale il divieto di prova per testi era espressione di questa autonomia tra procedimenti e processi e, dunque, dei possibili, sebbene non inevitabili, loro esiti discordanti [64]. Tuttavia, il divieto di prova per testi costituiva anche un ostacolo alla circolazione delle prove tra processo penale e tributario [65], in modo sicuramente antieconomico, ma che poteva anche condurre ad esiti ingiustificabilmente divergenti e, altrettanto immotivatamente, impediva al giudice tributario di compiere le proprie indagini con l’autonomia richiesta dallo stesso principio del doppio binario [66]. Enfatizzando l’autonomia del doppio binario, infatti, paradossalmente, per certi versi s’incorreva nel rischio d’impedire anche il corretto utilizzo del criterio di specialità, previsto dagli artt. 19 e 21, D.Lgs. n. 74/2000, per altro verso, invece, in quello di ostacolare la plausibile duplicazione di sanzioni, ammessa in via d’eccezione rispetto al principio del ne bis in idem [67]. Sotto questo primo aspetto, pertanto, l’introduzione di una vera e propria prova testimoniale nel rito tributario rende le due istruttorie maggiormente compatibili e favorisce il trasferimento delle prove, con vantaggio in termini di durata e coerenza tra processi che, nonostante i differenti scopi, s’incen­trino sull’accertamento del medesimo sostrato fattuale materiale [68]. L’altro volto del problema era descritto da autorevole dottrina, come segue: «dopo la riforma del sistema delle sanzioni amministrative tributarie – che, come è noto, ha introdotto il criterio della imputabilità – la prova testimoniale appare ora l’unico strumento idoneo a dimostrare lo stato soggettivo colposo o doloso del contribuente nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria abbia irrogato una [continua ..]


5. Divergenze tra il modello testimoniale delineato dall’art. 257 bis c.p.c. e quello ammesso nel rito processuale tributario: l’accordo tra le parti, l’im­pulso e la condizione di necessità

Occorre ora considerare in qual modo la nuova disposizione consente l’escussione dei testi nel processo tributario. Il modello di riferimento, come rilevato, è espressamente l’art. 257 bis c.p.c. che, tuttavia, assegna l’iniziativa alle parti e, anzi, condiziona l’assun­zione della prova scritta all’accordo preliminare tra le parti stesse [76]. L’applicabilità di tale condizione preliminare, tuttavia, è stata esclusa nel rito tributario, come già accaduto in quello amministrativo, e non avrebbe potuto essere diversamente.


5.a. L’accordo tra le parti

Sarebbe stato irragionevole imporre l’esistenza di un accordo preliminare delle parti in un processo nel quale, a differenza di quello civile, non è prevista alcuna alternativa forma di assunzione della testimonianza [77]. Il presupposto dell’accordo tra le parti, ai fini dell’ammissione della prova, avrebbe reso molto probabile l’inutilizzabilità del mezzo istruttorio stesso, vanificandone sostanzialmente l’introduzione. In questo senso, pertanto, è condivisibile ed era necessaria la precisazione contenuta nella nuova disposizione in esame, in ordine all’ammissibilità della prova «anche senza l’accordo delle parti», onde chiarire questa rilevante divergenza rispetto all’art. 257 bis c.p.c. cui pure la norma rinvia. Nondimeno, questa precisazione non si dovrebbe tradurre nel suo opposto, non sembra, dunque, se ne debba ricavare che nel rito tributario l’accordo tra le parti sia proibito o precluso, per quanto assai improbabile [78]. La questione dell’accordo tra le parti, infatti, non può essere accantonata in base a valutazioni superficiali. L’accordo delle parti, unitamente alla valutazione del giudice, è rappresentativo di un contraddittorio che fornisce argomento per sostenere che la prova, benché assunta per iscritto fuori udienza, non vìola il suddetto principio. Di tal che la mancata previsione di un confronto, tra le parti e il giudice, preliminare e anche successivo all’assunzione della prova per testi scritta, si configura come un grave limite della neo introdotta disposizione istruttoria. Disposizione che, sebbene introdotta nel nome del diritto al contraddittorio, paradossalmente potrebbe prescinderne, al punto da verificarne una lesione [79]. Si consideri, a tal riguardo, come, nonostante la prevista necessità dell’ac­cordo, la dottrina processuale civile ha evidenziato che la stessa sola formazione per iscritto della prova potrebbe determinare lesioni del principio del contraddittorio. La particolare modalità di assunzione, infatti, non offre alle controparti la possibilità di controinterrogare e dimostrare immediatamente l’inaffidabilità del teste, farlo cadere in contraddizione oppure ottenere dichiarazioni favorevoli alla propria posizione processuale. Nel processo tributario, pertanto, sarebbe opportuno precisare che, nel rispetto del [continua ..]


5.b. L’iniziativa e la precisazione normativa degli oneri probatori delle parti

La nuova formula del comma 4 dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, dunque, pur non escludendo espressamente l’istanza delle parti, non la prevede e, al contrario, l’assegna alle ribattezzate Corti di giustizia tributarie, cioè al giudicante [81]. In tal senso, la disposizione si discosta decisamente rispetto a quanto sancito dalla norma processuale civile richiamata e anche dal comma 3, dell’art. 63, D.Lgs. n. 104/2010. Disposizione, quest’ultima che, riguardo all’assun­zione della prova per testi nel processo amministrativo, precisa che essa pur se «sempre assunta in forma scritta» lo sia «su istanza di parte». La scelta di assegnare l’iniziativa al giudice è, dunque, originale del rito tributario ed è conforme alla tradizione inquisitoria o per lo meno con metodo acquisitivo, quanto all’attivazione dei mezzi istruttori, caratteristica dello stesso rito. Tradizione in forza della quale il giudicante, nell’attivare i mezzi istruttori, non subisce condizionamento rispetto all’iniziativa delle parti, pur nei limiti dei fatti allegati e del ruolo imparziale e non sostitutivo che la sua azione istruttoria deve assumere [82]. L’impostazione in questione non è affatto convincente, tuttavia, riguardo all’assunzione della prova testimoniale, tanto è vero che proprio la caratteristica indipendenza della prova dall’impulso delle parti era stata identificata in dottrina tra le plausibili ragioni del mantenimento dell’inammissibilità della prova in questione nel processo tributario [83]. Peraltro, la medesima tradizione “acquisitiva” caratterizza il processo amministrativo, riguardo al quale, tuttavia, non è stato ritenuto necessario riservare al giudicante l’iniziativa relativamente all’escussione di testimoni [84]. Senza istanza delle parti, infine, potrebbe non essere agevole al giudice individuare i testi in grado di fornire utili elementi alla decisione della controversia. L’istanza di parte, in altri termini, appare connaturata alla prova in esame e, considerato che non appare più in discussione, da tempo, il carattere sostanzialmente dispositivo del processo tributario [85], non sembra necessario né opportuno che la prova di specie sia stata introdotta con questa rilevante e del tutto peculiare “limitazione” [86]. Una [continua ..]


5.c. La condizione della necessità

Nel novellato comma 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 residua una limitazione rilevante, poiché si mantiene l’esigenza che il giudicante ritenga l’am­missione della prova in questione necessaria [98], nonostante sia stato espunto [99] l’aggettivo qualificativo che, nell’originaria formulazione governativa del d.d.l., imponeva che la necessità in questione fosse anche “assoluta”. Sotto quest’aspetto la norma resta problematica e la limitazione si ritiene inopportuna, inappropriata e, comunque, troppo vaga. Condizionare l’acquisizione della prova ad una valutazione da parte del collegio, solo «ove lo ritenga necessario ai fini della decisione», seppur potrebbe essere interpretato, in senso lato, come esplicitazione del generale principio, in base al quale le prove per essere ammesse devono essere utili e conducenti, parrebbe, al contrario, imporre un ulteriore e problematico apprezzamento [100]. Se la valutazione di necessità ai fini decisori s’intendesse come sinonimo della valutazione di rilevanza, infatti, l’esplicitazione non avrebbe senso e sarebbe del tutto pleonastica. Se, invece, s’intendesse conferirle un significato, anche alla luce delle già svolte osservazioni riguardo al carattere inquisitorio che l’iniziativa d’ufficio conferisce alla prova, si rischierebbe di fare assumere alla testimonianza un ruolo vincolante e impropriamente dirimente e preponderante rispetto alle altre prove, peraltro in base ad una valutazione prognostica, antecedente alla acquisizione della prova testimoniale stessa. La necessità di ammettere la testimonianza, infatti, potrebbe essere ritenuta dal giudicante una conseguenza della valutazione delle altre prove come insufficienti a decidere della controversia [101]. In altri termini, sembra plausibile che la prova possa essere ritenuta necessaria quando le parti non saranno in grado di dimostrare in modo circostanziato le proprie posizioni e domande. Intesa in questo senso, la valutazione prognostica del giudicante, in uno con la sua possibilità di procedere d’uf­ficio, appare incompatibile con il principio generale di disponibilità della prova, che si intende applicabile anche al processo tributario. Principio in base al quale, se le parti non provano un fatto questo dovrebbe intendersi non provato ai fini della decisione [102]. Come [continua ..]


6. La forma scritta e l’assunzione orale residuale

Sotto l’aspetto delle modalità d’assunzione della prova la nuova formulazione dell’art. 7, comma 4, sembra si discosti in modo apprezzabile dalle proposte di riforma in precedenza avanzate e anche dal modello di riferimento processuale amministrativo. La percettibile divergenza s’individua nell’esplicito, corretto e preciso riferimento alle «forme di cui all’art. 257 bis c.p.c.». Corretto e preciso, in quanto, si tratta, invero, dell’unica disposizione processuale civile che prevede l’as­sunzione di una testimonianza per iscritto [103]. Disposizione che, tuttavia, ammette sempre che la prova torni a svolgersi oralmente di fronte al giudice se da questi ritenuto opportuno [104]. Ebbene, sotto questo aspetto, il rinvio puro e semplice all’art. 257 bis c.p.c., in carenza di precisazioni delimitative al riguardo, dovrebbe essere inteso nel segno dell’ammissibilità anche nel processo tributario della residuale possibilità di audizione orale dei testi. Per quanto, ovviamente, alla testimonianza nel processo tributario s’imma­gini, comunque, di dare forma scritta, come previsto anche nella formulazione dell’art. 63 c.p.a., manca in questo caso la rammentata “perniciosa” prescrizione delimitativa [105], presente nella disposizione processuale amministrativa, secondo la quale la testimonianza «è sempre assunta in forma scritta» [106]. Nella novellata versione dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 la forma scritta non è ribadita come unica e necessaria e manca del tutto l’avverbio di tempo “sempre”. Tale circostanza dovrebbe condurre a ritenere che nel processo tributario possa essere ammessa, in via residuale, la deposizione orale davanti al giudice. Il mancato inserimento di disposizioni relative alla regolazione della eventuale e necessaria fase istruttoria, all’interno della quale potrebbe utilmente collocarsi anche l’assunzione orale della prova in questione, non è, tuttavia, favorevole a tale legittima esegesi non riduttiva. Altrettanto problematiche sono le circostanze che la testimonianza, persino in forma scritta, appaia ammissibile solo residualmente, all’esito della trattazione e se ritenuto “necessario” dal giudicante, nonché la mancata esplicitazione dell’assunzione in contraddittorio tra le parti. Circostanze [continua ..]


7. Conclusioni

La riforma del processo tributario cui si anelava era, certamente, di più ampio respiro e, malgrado l’esigenza di portare a termine l’intervento entro i tempi dettati dal PNRR avrebbe potuto essere realizzata, poiché, ormai da tempo, la dottrina si era prestata ad elaborare progetti dettagliati che, dunque, avrebbero potuto esser recepiti e attuati senza grave dispendio di tempo. In vero, come osservato, questa riforma, pur costituendo una novità di assoluta rilevanza, provvede solo in parte e, soprattutto, in modo censurabile sotto diversi aspetti sia ordinamentali che processuali. Nell’ambito dell’ammissione della prova testimoniale sarebbe stato opportuno recepire i suggerimenti dottrinari in merito ad una più compiuta regolazione dell’istruttoria processuale, sebbene la discussione sul punto rischi di essere giudicata superata a fronte delle “evoluzioni” che interessano persino il rito civile, in termini di semplificazione, celerità e informatizzazione. L’ormai intervenuta affermazione delle modalità di celebrazione telematiche, infatti, pone nuovi ostacoli alla conquista di uno spazio istruttorio, sia pur solo eventuale, ma che sembra irrinunciabile all’effettivo conseguimento degli obiettivi che si dovrebbero perseguire. La prova testimoniale non può che essere intesa come una valorizzazione del contraddittorio processuale tra le parti e dinanzi al giudice che implica il riconoscimento di una fase istruttoria processuale e corrisponde al compimento del processo di giurisdizionalizzazione, lento ma inesorabile, che ha caratterizzato il rito [110]. Valorizzazione che, tuttavia, non ha ancora trovato esplicitazione normativa. Sarebbe stato altrettanto opportuno ribadire esplicitamente l’ammissibi­lità, in via residuale, dell’audizione orale dei testi, sebbene quest’ultima dovrebbe ricavarsi dal rinvio all’art. 257 bis c.p.c. non delimitato in tal senso [111]. In via di perfettibilità, sarebbe, il caso di precisare che almeno le modalità di acquisizione della prova testimoniale, pur se assunta per iscritto, debbano sempre esser tali da assicurare il pieno rispetto del contraddittorio tra le parti e davanti al giudice [112]. A causa del modello processuale civile di riferimento e delle già annotate differenze anche rispetto a quest’ultimo, in ordine all’im­pulso [continua ..]


NOTE