La Suprema Corte ribadisce (una volta di più) il principio della cosiddetta supersolidarietà in materia di scissione prefigurando la responsabilità illimitata delle società partecipanti all’operazione in deroga a quanto prescritto dalla disciplina del codice civile. Questa volta lo fa in materia di IVA ancorché in tale ambito non sia ravvisabile una previsione analoga all’art. 173, comma 13, del TUIR. La pronunzia, sebbene argomentata sulla scorta della specialità della materia tributaria ed echeggiante una certa giurisprudenza costituzionale, desta perplessità e sembra iterativa di soluzioni ultra-rigorose che meriterebbero maggiore ponderazione soprattutto in assenza di un esplicito riferimento normativo.
Parole chiave: scissione, società partecipanti, supersolidarietà, IVA, imposte sul reddito.
The Supreme Court affirms (once again) the principle of the so-called supersolidarity with regard to the demerger by ruling the unlimited liability of the companies participating in the transaction as an exception to the relevant provisions of the Civil Code. In this case, the decision concerns a VAT matter, although a provision similar to Art. 173, para. 13, of the Income Tax Consolidated Act does not exist. The decision, which supports the special nature of tax matters and echoes a certain case law of the Constitutional Court, raises some doubts and seems iterative of ultra-rigorous solutions that would require more attention when an explicit legislative reference is lacking.
Keywords: demerger, participating companies, supersolidarity, VAT, income taxes.
1. Premessa - 2. La fattispecie concreta e lo sviluppo argomentativo della pronunzia - 3. Le certezze (palesate) e le criticità (occulte) della soluzione interpretativa approntata dalla Suprema Corte - 4. Conclusioni - NOTE
La decisione in commento presenta indubitabili tratti di continuità con il passato (anche se – maliziosamente – potrebbe dirsi che perseverare est diabolicum) ma al tempo stesso suscita un certo interesse se non per lo sviluppo argomentativo senz’altro per la conclusione (draconiana nella tutela dell’interesse del Fisco come sovente avviene nella giurisprudenza di legittimità) [1]. Il tema affrontato può apparire in prima istanza banale vertendosi in un caso di responsabilità solidale della società beneficiaria di una scissione parziale a fronte dei debiti tributari della entità scissa (una responsabilità che viene prefigurata dalla Suprema Corte senza alcuna limitazione quantitativa e che rinvia alla formula di matrice dottrinale della cosiddetta supersolidarietà fiscale in caso di scissione). Sin qui, pertanto, nihil novi, tranne l’esigenza di ribadire ancora una volta in questa sede (ed in via preliminare) il carattere insoddisfacente della soluzione concreta patrocinata dalla giurisprudenza di legittimità (anche) nella decisione qui analizzata [2]; una soluzione confortata da una pronunzia della Corte costituzionale di taluni anni fa (la sentenza n. 90/2018 [3]) invero non proprio coraggiosa e comunque largamente criticata perché insensibile alle censure da tempo formulate da parte della dottrina più avveduta alla disciplina fiscale della responsabilità in ipotesi di scissione [4]. Ma al fascino del déjà vu la pronunzia in esame aggiunge un tocco di charmante novità che ne rappresenta il vero motivo di interesse: nel caso in esame, infatti, il thema decidendum era rappresentato da un’ipotesi di responsabilità a fronte di debiti della scissa in materia di IVA e la soluzione elaborata dai Supremi giudici ha dovuto confrontarsi con la disciplina speciale rappresentata dall’art. 16 della L. 537/1993.
Il caso specifico riguardava un accertamento in materia IVA relativo ad un periodo d’imposta anteriore all’efficacia di una scissione parziale ed in particolare la responsabilità di una beneficiaria a cui – in occasione dell’operazione straordinaria – non era stato attribuito un compendio ex art. 2555 c.c. ma un mero complesso di elementi patrimoniali non rappresentativi di un’azienda. Nelle fasi di merito la beneficiaria (che si era vista notificare direttamente le iscrizioni a ruolo in quanto l’avviso di rettifica era stato indirizzato alla sola società scissa) aveva eccepito che quanto all’IVA non sussiste una forma di responsabilità solidale illimitata ma trova applicazione la disciplina di diritto comune fissata dall’art. 2506 quater, comma 4, c.c.; sicché la propria esposizione nei confronti dell’Erario avrebbe dovuto incontrare il limite del valore effettivo della quota di patrimonio netto ricevuta nel contesto della scissione così come prescritto dalla disciplina civilistica. Tale prospettazione era condivisa dalla Commissione Tributaria Regionale la quale (in riforma della sentenza di primo grado) osservava come ai fini IVA esista una disciplina speciale della solidarietà per i debiti fiscali della scissa (disomogenea rispetto a quella fissata dall’art. 173, comma 13, del TUIR in materia di imposizione sui redditi) i cui presupposti applicativi (integrabili peraltro nel solo caso di scissione totale) non erano ravvisabili nella fattispecie concreta. Di qui, pertanto, l’annullamento delle iscrizioni a ruolo notificate (alla beneficiaria) con la rituale cartella di pagamento la quale presupponeva (ad avviso del Collegio di secondo grado) una responsabilità solidale illimitata della beneficiaria del tutto incoerente con il dato normativo. Questo esito è stato sovvertito integralmente dalla Corte di Cassazione la quale ha negato che la responsabilità solidale illimitata della beneficiaria per i debiti IVA della scissa sia riscontrabile nel solo caso di scissione totale senza trasferimento di azienda (così come prescritto dall’art. 16, comma 12, della L. n. 537/1993 secondo la cui formulazione letterale “(…) In caso di scissione totale non comportante trasferimento di aziende o complessi aziendali, gli obblighi ed i diritti derivanti dall’applicazione dell’imposta sul valore [continua ..]
Va detto che l’interpretazione sviluppata dalla Corte di Cassazione appare tanto granitica prima facie quanto non del tutto solida se analizzata in dettaglio. In prima istanza, infatti, desta perplessità il nucleo sostanziale della tesi fatta propria dai giudici di legittimità: vale a dire l’affermata esistenza di una disciplina sostanzialmente unitaria e speciale in ambito tributario della responsabilità delle società partecipanti all’operazione di scissione. Il paradigma della supersolidarietà, infatti, è previsto (invero neanche in maniera del tutto esplicita) dalla sola disciplina legale in tema di imposizione sui redditi laddove, per converso, nulla è rinvenibile in materia di tassazione sul valore aggiunto; peraltro – ferma restando l’interpretazione estensiva che ne ha dato la prassi interpretativa erariale ed è stata confermata dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 90/2018 – la stessa disciplina dell’illecito amministrativo tributario (rinvenibile all’art. 15 del D.Lgs. n. 472/1997 ed anch’essa richiamata più volte nella pronunzia in commento) appare anodina per quanto concerne i reali confini della solidarietà (tant’è che i criteri direttivi di cui alla L. n. 662/1996 non recavano alcuna puntuale indicazione al riguardo). L’elaborazione (o meglio l’affermata esistenza di un paradigma generale di responsabilità fiscale in ipotesi di scissione), pertanto, costituisce un’affermazione del tutto metanormativa. La Corte di legittimità, infatti, ha palesemente trascurato il fatto che – in antitesi a quanto desumibile dall’art. 173, comma 13, del TUIR (invero anche tale norma afferma l’esistenza di un vincolo di solidarietà senza esprimersi tuttavia sul limite quantitativo della responsabilità dei coobbligati) – in ambito IVA non è identificabile una disciplina compiuta della sorte dei debiti tributari della scissa. L’unica disposizione che affronta ex professo il tema è il richiamato art. 16, comma 12, della L. n. 537/1993 che sembra sì deporre per una ipotesi di supersolidarietà ma limitatamente al solo “(…) caso di scissione totale non comportante trasferimento di aziende o complessi aziendali”. L’analisi di tale disposizione, infatti, lascia emergere una disciplina, [continua ..]
La decisione della Suprema Corte analizzata in questa sede rappresenta un ulteriore episodio di quella che una autorevole dottrina ha a suo tempo definito come cultura del sospetto [11]. È come se nei giudici della Suprema Corte – a fronte di un’operazione straordinaria (ed in particolare modo di una scissione) – si ingenerasse in modo quasi meccanico il timore di una potenziale lesione delle prerogative erariali ovvero il sospetto che l’applicazione della disciplina tributaria possa offrire ai contribuenti spazi per abusive strumentalizzazioni. Di qui (anche in modo inconsapevole) la formulazione di tesi di natura ultra-rigorista nella (evidente) preoccupazione che interpretazioni meno selettive si prestino ad imponderabili situazioni di pregiudizio per le ragioni del Fisco. La sensazione che ne emerge, quindi, è sovente quella di una giurisprudenza di legittimità sbilanciata, talmente timorosa della patologia (che innegabilmente esiste ma non può divenire l’occasione per una vera e propria ermeneutica emergenziale) da dare vita ad una sorta di solipsismo tributario (ossia un assetto in cui le regole di diritto comune vengono agevolmente derogate – in ragione di una presunta specialità della materia tributaria – per dare vita ad un assetto del tutto autoreferenziale). La pronunzia analizzata si colloca a pieno titolo in questo trend. La regola di responsabilità di diritto comune viene rifiutata (quasi) istintivamente perché giudicata troppo favorevole al soggetto passivo dell’obbligazione tributaria ed in potenza lesiva delle ragioni erariali. Si evoca, quindi, come vero e proprio passepartout la specialità dei crediti tributari (un principio sacralizzato dalle argomentazioni tratte dalla discutibile pronunzia n. 90/2018 della Corte costituzionale) e si tira diritto. Poco importa alla Suprema Corte se, a bene considerare, l’assetto normativo non supporta effettivamente la soluzione draconiana elaborata. Gli argomenti, pur decontestualizzati, vengono giustapposti con indubitabile efficacia e sono utili allo scopo. Un’analisi più attenta come quella che si è cercato di condurre in questa sede, tuttavia, mostra come nell’iter argomentativo sviluppato dai Supremi giudici vi sia assai minore nettezza di quanto appaia prima facie e soprattutto le forzature concettuali siano evidenti. È allora logico [continua ..]