Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il nuovo amministratore risponde di omesso versamento IVA se non effettua una due diligence relativa ai pregressi adempimenti fiscali: una colpa “mascherata” da dolo (di Pietro Mastellone)


La Suprema Corte consolida ulteriormente il proprio orientamento interpretativo secondo cui il nuovo amministratore di una società risulta incriminabile per l'omesso versamento IVA qualora il tributo calcolato nella dichiarazione presentata dal precedente amministratore non venga integralmente versato entro la scadenza prevista dalla legge, potendo il primo “agevolmente” evitare di incorrere in tale responsabilità penale attraverso una verifica della contabilità e degli adempimenti fiscali antecedente all’ingresso in carica. Il filone interpretativo che considera, in tal modo, configurata una condotta rimproverabile in capo al nuovo amministratore, quantomeno a titolo di dolo eventuale, appare criticabile perché, a ben vedere, punisce con la sanzione penale l’omissione di un'attività squisitamente connotata da colpa e, di fatto, polarizza il disvalore del delitto ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 su un obbligo di facere di conio pretorio (consistente nel dovere di verificare il previo accantonamento delle somme da versare all’Erario) che non è previsto né da tale disposizione né tantomeno è rinvenibile nell’ordinamento tributario. Siffatto approccio, già di per sé discutibile, rende il dolo ancor più impalpabile in presenza di una successione nell’organo amministrativo societario intercorsa a cavallo tra la presentazione della dichiarazione e l'omesso versamento dell'IVA, ove si rimprovera al nuovo amministratore di non aver fatto una previa due diligence degli adempimenti fiscali.

The new director is prosecutable for failure to pay VAT if he does not carry out a due diligence on previous tax duties: a negligence “disguised” as wilful misconduct

The Supreme Court further consolidates its case law according to which the new director of a company is prosecutable for the omitted payment of VAT if the tax calculated in the submitted annual return by the previous director is not paid in full within the deadline set by law, since the former may be “easily” able to avoid incurring in such criminal liability by checking the accounts and tax compliance prior to taking office. The interpretative trend that considers, in this way, criminally prosecutable the conduct of the new director, at least realised through an “eventual” wilful misconduct, appears criticisable because it punishes the omission of an activity exquisitely characterised by negligence and, in fact, polarises the negative value of the crime pursuant to Art. 10 ter, Legislative Decree no. 74/2000 on a duty created by case law (consisting in the obligation to check the prior provision of the sums to be paid to the Treasury), which is neither provided by this criminal provision nor may be found in the tax discipline. This approach, already questionable in itself, makes the wilful misconduct even more intangible in the presence of a succession in the corporate administrative body occurred between the submission of the annual tax return and the omitted payment of VAT, where the new director is accused of not having carried out a previous due diligence on the company’s tax compliance.

MASSIMA: Risponde del delitto di omesso versamento IVA di cui all’art. 10 ter, D.Lgs n. 74/2000, il quale è un reato proprio, a condotta “mista”, che si consuma al momento della scadenza prevista dalla legge (termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo) sulla base della dichiarazione IVA presentata, quantomeno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o di liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto, con l’entrata in carica, egli si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. PROVVEDIMENTO: (Omissis). RITENUTO IN FATTO 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Lodi e appellata dall’imputato, la quale aveva condannato E.R. alla pena giustizia in relazione al delitto di cui all’art. 10-ter, D.Lgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante della R.G.G. Servizi di Vigilanza S.r.l., non versava l’IVA, dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo di imposta 2012, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, per l’ammontare complessivo di 603.194 euro. 2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite dei difensori di fiducia, propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. con riferimento sia all’interruzione del nesso causale ex art. 45 c.p., sia all’elemento soggettivo del reato. Il ricorrente, in primo luogo, censura la motivazione, laddove attribuisce al passaggio da una carica sociale all’altra un valore sintomatico della volontà di omettere il versamento dell’IVA, con ciò affermando una forma di responsabilità oggettiva che evoca il paradigma del dolus in re ipsa, tenuto conto che il R. assunse la carica di Presidente del consiglio di amministrazione il 3 dicembre 2013, sicché non era concretamente esigibile la condotta omessa dal precedente amministratore, come affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 42522 del 2019, posto che l’imputato altro non avrebbe potuto fare che sollecitare i creditori e progettare una ristrutturazione dell’attività sociale. Sotto altro profilo, nella vicenda in esame sarebbe insussistente l’elemento soggettivo, perché la scelta dell’imputato, attuata nell’immediatezza della nomina, di provvedere al pagamento di dipendenti e fornitori è avvenuta nella [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio


SOMMARIO:

1. Considerazioni preliminari - 2. Il difficoltoso inserimento dell’art. 10 ter nel sistema penale tributario - 3. L’orientamento secondo cui sussisterebbe un obbligo di accantonamento in capo al soggetto tenuto al versamento dell’IVA, il cui adempimento scongiura la configurabilità dell’art. 10 ter - 4. La previa due diligence fiscale che dovrebbe compiere il nuovo amministratore: una colpa “mascherata” da dolo (eventuale) - 5. Qualche riflessione conclusiva tra bis in idem processuale e rilevanza della crisi di liquidità da Covid-19 nei reati attinenti alla riscossione tributaria - NOTE


1. Considerazioni preliminari

Il caposaldo dell’attuale disciplina sui reati tributari dettata dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, consiste nel sostanziale “avanzamento” della tutela penale alle sole condotte caratterizzate da dolo specifico di evasione ed in grado di arrecare una diretta lesione degli interessi erariali, valorizzando così il principio di offensività [1] e, al contempo, relegando alla mera punibilità amministrativa tutte quelle attività “preparatorie” (c.d. violazioni formali) ad una successiva, ma pur solo eventuale, evasione fiscale [2]. Come noto, nel primo intervento in materia di diritto intertemporale all’in­domani dell’approvazione dell’attuale disciplina, le Sezioni Unite confermavano il netto cambio di passo rispetto alle figure delittuose della precedente “Manette agli evasori” [3], ove l’arma penale era rivolta anche a condotte non immediatamente lesive degli interessi erariali [4] (con il rischio che il bene giuridico protetto divenisse l’«in­teresse all’accertamento fine a se stesso» [5]), statuendo che «le linee ispiratrici della riforma, come si desume a chiare lettere sia dalla reale portata delle disposizioni incriminatrici che dall’esplicita voluntas legis, segnalano dunque l’incompatibilità del nuovo sistema penal-tributario con il vecchio modello di tutela anticipata caratterizzato dalla repressione di violazioni strumentali e prodromiche all’evasione. Il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie, e nella lesione dell’interesse erariale all’integrale riscossione delle imposte dovute, piuttosto che nella generica trasparenza fiscale, l’oggetto giuridico della tutela penale» [6]. Orbene, se la valorizzazione del principio di offensività nell’attuale disciplina sui reati tributari deve senz’altro salutarsi con favore, con la presente nota si cercherà di evidenziare le perplessità che quest’ultimo genera allorquando si devono individuare la consumazione del reato e, soprattutto, la configurabilità del dolo richiesto dal reato di omesso versamento IVA nell’ipotesi di successione all’interno della governance societaria. A tale riguardo, rispetto ad una giurisprudenza maggioritaria – a cui [continua ..]


2. Il difficoltoso inserimento dell’art. 10 ter nel sistema penale tributario

Per poter analizzare la decisione epigrafata e dare atto del citato dibattito giurisprudenziale, appare innanzitutto opportuno effettuare qualche considerazione preliminare sul delitto di omesso versamento IVA ex art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000, la cui collocazione nel “microcosmo” del diritto penale tributario appare successiva, trattandosi, di fatto, dell’ultima fattispecie introdotta assieme a quella di cui al successivo art. 10-quater e, proprio per questo motivo, maggiormente delicata [7]. Già la sua struttura sembra prima facie stridere con l’impianto originario del sistema penal-tributario [8], la quale ha permesso il progressivo consolidamento della deriva giurisprudenziale sulla configurabilità del dolo in capo al soggetto attivo [9]. Se, infatti, la ratio originaria del sistema del D.Lgs. n. 74/2000 era quella di colpire le forme di evasione maggiormente insidiose che si manifestano attraverso comportamenti sapientemente e scientemente preordinati a celare al Fisco la materia imponibile, in modo da renderne difficile, se non impossibile, l’accertamento da parte dei verificatori, la sanzione penale era riservata alle violazioni degli obblighi dichiarativi, realizzate sia nella forma fraudolenta sia in quella omissiva o di soppressione, e le condotte di falsità documentali per la loro notoria strumentalità alle prime [10]. Ciò ha determinato che nella prima versione della disciplina mancasse una criminalizzazione delle violazioni connesse al versamento di imposte già dichiarate, non ravvisandosi del resto in tali condotte una insidiosità tale da giustificare il ricorso alla sanzione penale [11]: la riscossione dei tributi veniva, pertanto, tutelata sul piano penalistico esclusivamente qualora venisse impedita mediante condotte di sottrazione fraudolenta, in grado cioè di impedire all’Erario di ricorrere agli ordinari strumenti esattivi a sua disposizione. Di converso, per i casi di omesso versamento dei tributi non connotati da fraudolenza, si riteneva sufficiente la tutela garantita dalle sanzioni amministrative tributarie, posto che tali violazioni erano considerate accertabili e punibili con maggiore agilità da parte dell’Agenzia delle Entrate rispetto al pubblico ministero [12]. Si tratta, infatti, di ipotesi in cui il contribuente non assolve i propri doveri tributari nei confronti dell’Erario alla [continua ..]


3. L’orientamento secondo cui sussisterebbe un obbligo di accantonamento in capo al soggetto tenuto al versamento dell’IVA, il cui adempimento scongiura la configurabilità dell’art. 10 ter

Nella giurisprudenza penal-tributaria risulta, ormai, prevalente l’orientamento volto a ritenere sussistente il dolo richiesto dall’art. 10 ter in capo all’amministratore che omette di versare l’IVA durante una crisi di liquidità, vedendosi spesso rigettata l’eccezione di trovarsi in una situazione di forza maggiore o in uno stato di necessità [27]. In tale ipotesi, le indicazioni provenienti dalla Suprema Corte sono chiare, seppur discutibili: incomberebbe in capo al contribuente un obbligo di accantonamento delle provviste necessarie al fine di versare, alla scadenza prevista dalla legge, l’IVA dovuta. Questo perché, ogniqualvolta il soggetto passivo effettua delle operazioni imponibili «riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta. […] è necessario che siano comunque assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non [continua ..]


4. La previa due diligence fiscale che dovrebbe compiere il nuovo amministratore: una colpa “mascherata” da dolo (eventuale)

Nella sentenza in commento, i supremi giudici sono stati chiamati a valutare la responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione di una S.r.l. operante nel settore della vigilanza, per non aver versato l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo di imposta 2012 entro il termine per il versamento dell’ac­conto relativo al periodo di imposta successivo, per un ammontare superiore alla soglia di punibilità. La difesa sosteneva l’impossibilità di ascrivere alcuna responsabilità all’imputato poiché egli era stato investito di tale carica amministrativa, con delega ad assolvere gli adempimenti fiscali per conto della società, in un momento successivo alla formazione del debito tributario, ma antecedente a quello di consumazione del delitto. La dichiarazione dei redditi, infatti, non era stata neppure presentata dall’imputato, bensì dall’amministratore che in precedenza aveva detta delega durante il cui mandato si era formato il debito tributario e ciò, secondo la difesa, avrebbe dovuto escludere alla radice il dolo, non ravvisandosi coscienza e volontà di aver presentato una dichiarazione IVA e di aver poi omesso il versamento delle somme ivi indicate all’Era­rio entro il termine individuato dalla legge. Agli occhi del lettore attento non sfuggirà, poi, una circostanza fattuale rilevata dalla difesa: l’imputato aveva assunto la carica di presidente del consiglio di amministrazione con la correlata delega ad effettuare gli adempimenti fiscali societari il 3 dicembre 2013, mentre l’asserita consumazione del reato istantaneo di cui all’art. 10 ter sarebbe stata perpetrata il successivo 27 dicembre 2013. Detto altrimenti, l’imputato ha avuto a disposizione solo 24 giorni per fare tutte le verifiche dei pregressi adempimenti tributari e dell’avvenuto accantonamento delle somme, al fine di scongiurare una responsabilità penale conseguente al suo subentro. Per poter individuare i soggetti potenzialmente imputabili di omesso versamento IVA in presenza di un consiglio di amministrazione, occorre fare una doverosa precisazione. Negli enti collettivi, la normativa tributaria stabilisce che la dichiarazione «è sottoscritta, a pena di nullità, dal rappresentante legale, e in mancanza da chi ne ha l’amministrazione anche di fatto, o da un rappresentante [continua ..]


5. Qualche riflessione conclusiva tra bis in idem processuale e rilevanza della crisi di liquidità da Covid-19 nei reati attinenti alla riscossione tributaria

Sulla scorta di queste considerazioni, risulta inevitabile soffermarsi sull’effettiva differenza tra la sanzione amministrativa tributaria per l’inadempimento dell’obbli­gazione relativa al versamento dell’IVA e l’art. 10 ter. Se, infatti, la reazione ordinamentale consistente nell’irrogazione della sanzione amministrativa tributaria ha dei connotati afflittivi paragonabili a quella penale, allora la descritta giurisprudenza che si ostina ad individuare il dolo in capo all’amministratore subentrante appare ancor più criticabile, perché in ogni caso il comportamento non risulterebbe impunito. La condotta di omesso versamento IVA, come noto, integra anche un illecito amministrativo tributario, la cui sanzione consiste nel pagamento di un importo pari al 30% della somma non versata (oltre accessori) [49]. Considerando acclarato il carattere afflittivo delle sanzioni tributarie, tale da legittimare la loro assimilabilità a quelle penali [50], perché le due sanzioni possano coesistere senza che si configuri un bis in idem processuale è indispensabile che sussista un elemento di differenziazione che permetta di escludere che ci si trovi di fronte ad uno “stesso fatto” [51]. A tale riguardo, le Sezioni Unite sono intervenute per affermare la legittimità del doppio binario sulla scorta di tre elementi che, a loro avviso, differenzierebbero l’ille­cito penale da quello amministrativo e grazie ai quali «non si può parlare di identità del fatto»: i. il presupposto non è costituito soltanto dal compimento di operazioni imponibili IVA, ma anche dalla presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno precedente; ii. è prevista una soglia di punibilità, che non è contemplata per l’illecito amministrativo; iii. il termine per l’adempimento è più lungo, essendo stato individuato in quello previsto per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta successivo (e non il giorno sedici del mese, o trimestre, successivo a quello di maturazione del debito IVA) [52]. Risulta, tuttavia, difficile ravvisare in tali elementi la dimostrazione che siamo di fronte a “fatti diversi”: sembra piuttosto di trovarsi di fronte allo stesso fatto, semmai punito in «stadi crescenti di offesa» [53], e, pertanto, la [continua ..]


NOTE