Tra le politiche pubbliche a tutela del patrimonio culturale italiano, possiamo annoverare anche l’istituto dell’adempimento tributario mediante cessione di un bene culturale, spesso dimenticato. Questo istituto, trova le sue radici in Francia, dove ha registrato ottime performances, a differenza dell’esperienza italiana nella quale si è scontrato con numerose problematiche applicative che ne limitano tuttora le potenzialità. Guardando all’esperienza francese, quest’analisi vuole ricostruire lo stato dell’arte di questo strumento in vigore nell’ordinamento italiano per individuarne valide proposte di riforma.
Among the public policies to protect the Italian cultural heritage, we may also include the mechanism of tax compliance through the transfer of works of art, which is often forgotten. This tool finds its roots in France, where it has recorded excellent performances, unlike the Italian experience, which many practical problems are still limiting its potential. Looking at the French experience, this analysis aims at reconstructing the state of art of the tool in force in the Italian legal system, to identify valid reform proposals.
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1. Premessa - 2. Genesi e disciplina della dation en paiement nell’ordinamento francese - 3. L’adempimento tributario mediante cessione di un bene culturale nell’ordinamento italiano: inquadramento teorico e normativo - 3.1. La ratio legis e gli interessi costituzionali coinvolti - 3.2. L’ambito di applicazione - 3.3. I beni culturali cedibili - 3.4. La procedura - 4. Cenni sull’imponibilità IVA - 5. Considerazioni conclusive - NOTE
A fronte di un immenso patrimonio culturale, testimoniato dalla confermata leadership italiana per numero di beni iscritti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco [1], l’Italia si scontra con un’enorme penuria di risorse pubbliche devolute alla tutela e valorizzazione dei beni culturali. Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, la spesa pubblica italiana destinata ai servizi culturali, si attesta ancora tra le più basse d’Europa [2]. Per far fronte alla difficile congiuntura socio-economica cui stiamo assistendo, gli studiosi di diritto tributario sono chiamati a investigare nuove forme di sostegno del patrimonio culturale [3], ovvero a riscoprire strumenti talvolta dimenticati, nel tentativo non solo di recuperare risorse ma soprattutto di stimolare e sviluppare le potenzialità del settore culturale, che potrebbe agire da volano per lo sviluppo economico e sociale del sistema Paese [4]. In quest’ottica questa disamina vuole focalizzarsi sulla figura dell’adempimento tributario mediante cessione di beni culturali, che consente al contribuente di assolvere determinati tributi mediante la cessione di opere d’arte. Questa misura, poco conosciuta nell’ordinamento italiano, tutela una pluralità d’interessi, sia pubblici sia privati, che le conferiscono rilevanza e cittadinanza tra le politiche fiscali a supporto del patrimonio culturale, a metà strada tra interesse fiscale ed extrafiscale. Già preconizzato da Van Gogh nel 1889 [5], questo istituto si è modellato sulla figura della dation en paiement vigente nell’esperienza francese [6], la quale ha rappresentato un’enorme risorsa per i musei francesi, che hanno potuto accrescere le loro collezioni proprio grazie alle cessioni dei contribuenti in debito con il Fisco. Ripercorrendo la nascita e le caratteristiche di questo strumento nell’ordinamento giuridico francese, questo contributo si prefigge lo scopo di ricostruire lo stato dell’arte dell’adempimento tributario mediante cessione di beni culturali nella legislazione italiana analizzandone natura, finalità e disciplina, accennando al tema della sua imponibilità IVA prendendo spunto da una recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE [7]. Operando in un’ottica di comparazione saranno poi evidenziate le criticità che hanno limitato [continua ..]
La Francia si contraddistingue per un’ampia politica di sostegno e promozione dei beni culturali sviluppata attraverso il ricorso a una pluralità di strumenti d’intervento, tra i quali si annoverano anche le misure fiscali [8]. Tra queste si ricomprende anche il meccanismo della c.d. dation en paiement, introdotto dalla L. 31 dicembre 1968, n. 1251 [9], promulgata dal generale De Gaulle su iniziativa dell’allora ministro della cultura André Malraux ed entrata in vigore solamente nel 1972 [10]. Esso consiste in un peculiare metodo di adempimento dell’obbligazione tributaria, che consente al contribuente di pagare alcune tipologie di debiti tributari attraverso la consegna di determinati beni culturali. La sua disciplina è oggi rinvenibile nell’art. 1716 bis del Code Général des Impôts (CGI) [11]. Si tratta di una pratica molto diffusa nell’ordinamento francese, nel quale ha registrato pregevoli risultati in termini di protezione dell’interesse erariale e arricchimento del patrimonio artistico e culturale nazionale. Essa ha consentito all’erario di riscuotere circa 850 milioni di euro ed è diventata la prima fonte di acquisto di beni culturali per lo Stato francese, utilizzati per l’istituzione d’importanti musei, tra cui il celebre museo Picasso. Quest’ultimo si è originato proprio all’esito di una dation en paiement effettuata dagli eredi dell’artista spagnolo, per l’adempimento delle imposte di successione connesse alla sua eredità. Nella fattispecie la procedura impiegò cinque anni per giungere a compimento, data la complessità delle questioni artistiche, giuridiche e fiscali emerse. All’indomani della cessione fu necessaria l’individuazione di uno spazio adeguato ad accogliere un insieme così prestigioso di opere d’arte, e in quell’occasione, l’allora segretario di Stato per la cultura, Michel Guy, propose l’Hôtel Salé per la creazione di quello che oggi è conosciuto come museo Picasso. La normativa francese fu concepita con un ambito di applicazione piuttosto ristretto, il quale è stato successivamente ampliato. Inizialmente il pagamento mediante cessione di opere d’arte poteva essere impiegato esclusivamente con riguardo all’imposta di successione, in seguito questa [continua ..]
L’adempimento di un’obbligazione tributaria tradizionalmente si realizza tramite il pagamento di una somma di denaro, tuttavia la legge può consentire al contribuente di assolvere il tributo mediante la cessione di beni diversi, tra cui anche opere d’arte, previa accettazione del creditore [16]. Gli artt. 6 e 7, L. 2 agosto 1982, n. 512 introducendo l’art. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 e l’art. 42 bis, D.P.R. n. 637/1972 poi trasfuso nell’attuale art. 39, D.Lgs. n. 346/1990, hanno riconosciuto ai contribuenti la possibilità di adempiere le imposte dei redditi e le imposte di successione mediante la cessione di talune categorie di beni culturali. Si tratta di un meccanismo che opera nella fase di riscossione delle imposte [17], sostituendosi contemporaneamente alle ordinarie modalità di adempimento delle obbligazioni tributarie per espressa previsione di legge e alle forme giuridiche di acquisto di beni d’interesse culturale. Il contribuente propone di estinguere il proprio debito tributario mediante una prestazione diversa dal pagamento di una somma di denaro, che consiste nella cessione della proprietà di particolari beni, l’amministrazione acconsente emanando un decreto ministeriale previ accertamenti in ordine all’interesse dello Stato e al valore dei beni, e la procedura si conclude con l’accettazione del proponente. Per inquadrare l’istituto dal punto di vista teorico occorre trattare la questione della sua natura giuridica, sulla quale si sono confrontate diverse ricostruzioni dottrinarie. Una parte della dottrina ha sostenuto la natura pubblicistica della cessione in pagamento mediante un’opera d’arte [18], valorizzando la natura e la funzione del debito del contribuente-proponente. In realtà, questo istituto, pur inserendosi nel quadro pubblicistico del rapporto tributario, appare sostanzialmente esente da connotati di autoritatività, la procedura si attiva difatti su proposta del contribuente e si conclude con la sua accettazione [19]. I fautori della natura privatistica dell’istituto hanno sostenuto che l’utilizzo dei termini “proposta” e “accettazione” del contribuente lascerebbe spazio a una ricostruzione giuridica dell’istituto in termine di contratto, ma tale conclusione si scontra con l’emanazione nell’iter procedurale di un decreto del MiBACT [continua ..]
L’adempimento tributario mediante cessione di un’opera d’arte rappresenta uno strumento correlato a una pluralità d’interessi. La ratio istitutiva di questo meccanismo deve individuarsi principalmente nel perseguimento di un interesse pubblico, che trova il suo fondamento nella tutela e promozione del patrimonio culturale di cui all’art. 9 Cost. [26]. In particolare, il legislatore preferiva acquistare opere d’arte di rilevante interesse storico e artistico evitando che i privati potessero svenderle in preda a necessità economiche. Al contempo, gli artt. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 e 39, D.Lgs. n. 346/1990 sono altresì espressione dell’interesse fiscale, perché favoriscono l’adempimento tributario consentendo al privato di utilizzare il diritto di proprietà per adempiere un debito d’imposta. Questo istituto, pur non comportando una riduzione dell’ammontare del tributo in capo al debitore d’imposta, implica minori entrate per l’erario. Lo Stato, infatti, rinuncia a riscuotere l’imposta dovuta e per effetto della cessione dovrà inoltre sopportare maggiori costi di gestione per la tutela dei beni culturali acquisiti. Questa pratica deve considerarsi costituzionalmente legittima nella misura in cui non viola né l’art. 23 Cost. essendo prevista espressamente dal legislatore, né l’art. 53 Cost., ritenendosi giustificato il sacrificio dell’interesse fiscale per il perseguimento di altri interessi costituzionalmente rilevanti, tra cui certamente si può annoverare la protezione del patrimonio culturale [27]. Ciò non di meno, questo istituto nel realizzare l’interesse pubblico, stimola anche il mercato dell’arte, poiché rende l’acquisto di un bene culturale un investimento finanziario ancora più appetibile, giacché utilizzabile per adempiere le imposte. Questa ricostruzione richiama, quindi, gli artt. 9, 41 e 53 Cost., in un contemperamento di esigenze contrapposte tra finalità fiscale ed extrafiscale [28].
Contrariamente alla normativa francese, l’ambito di applicazione della disciplina italiana risulta più ampio. L’ordinamento italiano consente, difatti, il ricorso a questo strumento, sia con riferimento all’imposta sulle successioni (art. 39, D.Lgs. n. 346/1990), sia con riguardo alle imposte sui redditi (art. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973). L’art. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 circoscrive il suo ambito di operatività affermando che la cessione di un bene culturale può essere utilizzata per l’adempimento totale o parziale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, relativi interessi e sanzioni [29]. Nella sua formulazione originaria questa procedura si applicava anche all’abrogata imposta locale sui redditi e ai tributi erariali soppressi di cui all’art. 82, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 [30]. L’art. 20, D.Lgs. n. 46/1999 ha poi esteso l’operatività dell’art. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 “alle entrate tributarie dello Stato” [31], ricomprendendo conseguentemente anche i tributi non elencati. Con la Risoluzione n. 43/E/2002 [32] l’Amministrazione Finanziaria ha sostenuto l’applicabilità di questo strumento con riguardo anche all’adempimento dell’IVA, per sua natura entrata tributaria dello Stato. Come precisato dall’Agenzia delle Entrate, sussiste un’unica limitazione desumibile dalla lettera della legge, la quale richiede la necessaria sussistenza del debito, che di conseguenza non può essere futuro [33]. A sostegno di questa lettura il comma 6 dell’art. 28 bis dispone specificamente che la presentazione della proposta non sospende il pagamento delle imposte dovute e che dopo il trasferimento dei beni l’interessato può chiedere il rimborso delle imposte eventualmente pagate nel periodo intercorrente tra la data di presentazione della proposta di cessione e quella della consegna dei beni o della trascrizione. I contribuenti possono far ricorso all’art. 28 bis per le somme iscritte a ruolo o contenute negli avvisi di accertamento esecutivi, nonché per il pagamento di debiti tributari determinati con atto di accertamento con adesione [34]. Il comma 1, art. 39, D.Lgs. n. 346/1990 afferma invece che “gli eredi e i legatari possono proporre la cessione allo Stato, [continua ..]
L’analisi dell’adempimento tributario mediante la cessione di opere d’arte si scontra con la difficile definizione di bene culturale, su cui non si rinviene uniformità di vedute, e che richiede pertanto qualche precisazione. Sul piano nazionale, la definizione italiana di patrimonio culturale è desumibile dalla lettura congiunta degli artt. 2, comma 2 [36], 10 e 11, D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali). L’art. 2 incardina i beni culturali nella nozione di “patrimonio culturale” insieme con i “beni paesaggistici” seguendo la logica dell’art. 9 Cost. [37]. La normativa italiana [38], ricalcando la definizione fornita nella Convenzione dell’Aja [39], formula una nozione ampia che però non tiene conto delle opere di autori viventi la cui esecuzione risalga a meno di un cinquantennio e del patrimonio immateriale, difatti, sia la definizione legislativa sia la giurisprudenza costituzionale [40] associano al bene culturale una necessaria materialità [41]. I beni che possono costituire oggetto di cessione di cui agli artt. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 e 39, D.Lgs. n. 346/1990 non sono solamente quelli che l’ordinamento italiano considera beni culturali, ma la normativa estende questa possibilità anche alle opere di autori viventi o la cui esecuzione risalga a un’epoca inferiore al cinquantennio. La disciplina ricomprende quindi cose, mobili e immobili, che presentano un interesse storico, archeologico o etnografico, archivi e singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono un interesse storico particolarmente importante.
L’adempimento tributario mediante cessione di un bene culturale si realizza attraverso una procedura che si sviluppa intorno a tre atti: la proposta di cessione, il decreto ministeriale che delibera sulla proposta e infine l’accettazione del proponente. La normativa italiana individua in capo al contribuente debitore l’onere di avanzare una proposta di cessione [42], corredata da una descrizione dettagliata del bene offerto e della sua titolarità. Il deposito della stessa comporta l’interruzione dei termini per il pagamento dell’imposta solo con riguardo ai tributi di cui all’art. 39, D.Lgs. n. 346/1990. Una volta inoltrata la proposta di cessione si apre una fase amministrativa [43], la quale si conclude con l’emanazione di un decreto nel quale il ministero dei beni culturali deve in primo luogo attestare la sussistenza delle caratteristiche previste dalla vigente legislazione di tutela, in secondo luogo dichiarare l’interesse dello Stato all’acquisto del bene ed infine fissare le condizioni e il valore della cessione. Il primo esame si sostanzia nell’accertamento di un fatto quando si tratta di cose già soggette a vincolo di tutela, mentre implica apprezzamenti tecnico-discrezionali quando non si è di fronte ad un oggetto che integra la qualifica di bene culturale [44]. La seconda valutazione impone un apprezzamento sull’opportunità dell’acquisto di un determinato bene culturale da parte dello Stato [45], dal quale deve emergere il motivo per cui l’acquisizione del bene da parte dello Stato soddisfa un pubblico interesse. In questo caso assume rilevanza l’opportunità della destinazione del bene al pubblico godimento. Infine, la fase più delicata della procedura riguarda l’individuazione del valore della cessione, per la determinazione del quale non vengono fissati criteri di riferimento da parte della normativa. Questa valutazione sarebbe espressione di discrezionalità mista [46], in parte tecnica e in parte amministrativa, da ricondursi a un’attività di estimazione che tenga conto del valore di mercato, dell’interesse dello Stato e dei costi di gestione. Il valore è stabilito con decreto del MiBACT, emanato di concerto con il MEF, sentita un’apposita Commissione. Quest’ultima ha lo scopo di contemperare gli interessi in gioco, [continua ..]
Occorre premettere che la dottrina si è espressa favorevolmente circa l’imponibilità IVA della datio in solutum [48], d’altronde è la stessa normativa italiana in tema d’IVA a stabilire che le cessioni in pagamento debbano essere assoggettate a imposta separatamente, per consentire a ciascuna parte di detrarre l’imposta versata [49]. Tuttavia, questa soluzione non può applicarsi con riguardo alle ipotesi di adempimento tributario mediante cessione di beni culturali. Queste fattispecie non trovano, difatti, specifica disciplina all’interno dell’ordinamento italiano [50], per questo motivo si cercherà di svolgere una serie di considerazioni prendendo spunto dalla recente sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’UE [51]. Il caso concerneva un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte Suprema amministrativa polacca, nel corso di una controversia intervenuta tra il ministro delle finanze e una società immobiliare, circa l’assoggettamento a imposta sul valore aggiunto di un’operazione con cui detta società aveva trasferito al Comune la proprietà di un terreno per compensare un debito di natura fiscale [52]. Come noto, l’art. 2, par. I, lett. a), Direttiva 2006/112/CE ritiene assoggettabili a IVA “le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Nella fattispecie, i giudici europei, discostandosi dalle argomentazioni sostenute dall’Avvocato Generale, che aveva ricondotto la non imponibilità IVA alla carenza del profilo soggettivo [53], hanno focalizzato la loro attenzione sul requisito dell’onerosità della cessione. La Corte di Giustizia ha richiamato l’orientamento secondo cui una cessione di beni è effettuata “a titolo oneroso”, soltanto quando tra il cedente e l’acquirente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il prezzo riscosso dal cedente costituisca il controvalore effettivo del bene ceduto [54]. Nel caso di specie l’obbligo di pagamento nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, anche se effettuato attraverso la dazione di un bene immobile, ha natura unilaterale e determina unicamente l’estinzione ex lege del debito. Secondo la [continua ..]
Dall’analisi comparata effettuata emerge che non sussistono divergenze tra la normativa italiana e quella francese tali da giustificare le ottime performances registrate nell’esperienza francese in tema di cessione in pagamento mediante beni culturali, a fronte dei modesti risultati registrati in Italia. Anzi, come rilevato in precedenza, l’ambito di applicazione della normativa italiana risulta più ampio rispetto a quella francese, sia dal punto di vista della tipologia di tributi che possono essere adempiuti sia dei beni che possono essere ceduti mediante questa operazione. Di conseguenza, lo sporadico utilizzo degli artt. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 e 39, D.Lgs. n. 346/1990 nell’esperienza italiana, costituisce purtroppo un’amara constatazione da addebitarsi a diversi fattori, dei quali solamente alcuni sono da considerarsi conseguenza diretta delle lacune o delle incongruenze della normativa italiana, mentre altri dipendono, invece, da considerazioni di più ampio respiro. Per prima cosa si devono annoverare i ritardi nell’emanazione dei decreti attuativi e le eccessive lungaggini procedurali. La norma del 1982 richiedeva quale presupposto necessario per l’applicazione dell’istituto dell’adempimento tributario mediante cessione di beni culturali, l’intervento della Commissione interministeriale che è rimasta inattiva dal 1991 al 2010, anno in cui ha svolto un’unica riunione, e dal 2011 al 2013 [55]. Solamente nel 2014 l’allora ministro dei beni culturali ha firmato un nuovo decreto di nomina dei componenti della Commissione per consentire la ripresa dei suoi lavori, i quali continuano, tuttavia, a procedere a rilento. Per rendere questa pratica più appetibile si potrebbe riformare l’iter procedurale introducendo termini di decadenza per la valutazione da parte della Commissione e per la conclusione della procedura stessa, la quale resta troppo lunga e incerta, senza contare che, come già evidenziato, la citata giurisprudenza amministrativa non riconosce neanche la possibilità per il contribuente di ottenere un risarcimento dei danni derivanti dal ritardo nella conclusione del procedimento. Sarebbe inoltre necessario uniformare gli effetti connessi alla presentazione della domanda, essendo irrazionale la previsione che sospende il pagamento nel solo caso dell’imposta di successione. Privo di razionalità [continua ..]