La determinazione del profitto dei reati tributari ai fini della relativa confisca comporta evidenti problemi di coordinamento con la quantificazione del tributo accertato in sede amministrativa. L’esame dei diversi orientamenti maturati dal giudice di legittimità in caso di divergente ricostruzione dell’imposta evasa evidenzia l’esigenza di temperare le evidenti dicotomie scaturenti da una rigida applicazione del principio del doppio binario.
The determination of the profit of the tax offenses for the purpose of confiscation involves evident coordination problems with the quantification of the tax ascertained in the administrative seat. The analysis of the different trends developed by the Italian Supreme Court in case of divergent reconstructions of the evaded tax highlights the need to temper the evident dichotomies arising from a rigid application of the “double track” system.
KEYWORDS: tax crimes, confiscation
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1. Il problema della quantificazione della confisca del profitto dei reati tributari tra autonomia del giudice penale e prevalenza della determinazione del tributo in sede amministrativa - 2. La funzione della confisca nei reati tributari - 3. Confisca e vicende relative al tributo - 4. L’orientamento a favore della prevalenza della determinazione dell’imposta in sede amministrativa ai fini del quantum confiscabile - 5. L’indirizzo secondo il quale rileva, se superiore, la determinazione dell’imposta evasa come ricostruita dal giudice penale - 6. Oltre il contrasto giurisprudenziale: spunti per il superamento di una insostenibile dicotomia - NOTE
Nonostante l’adozione del cosiddetto sistema del doppio binario, ispirato al principio secondo il quale il giudice penale procede in modo tendenzialmente autonomo all’accertamento dei presupposti dai quali dipende la configurabilità di reati tributari, numerosi sono i punti di frizione con la determinazione in sede amministrativa del maggior tributo dovuto all’erario in relazione alle condotte oggetto di rilevanza penale. Uno di quelli che negli ultimi tempi è venuto più frequentemente ad evidenza è costituito dal del rapporto tra confisca e pagamento del tributo. Nessuno dubita, invero, che la confisca del profitto del reato tributario non possa sovrapporsi al pagamento del tributo, e che dunque nel disporla debba tenersi conto di quanto già versato all’erario [1]. Fermo ciò, ci si chiede tuttavia come debba atteggiarsi tale rapporto allorché diversa sia la quantificazione del tributo evaso in ambito penale ed in sede tributaria. Di primo acchito, due sono le soluzioni possibili. Valorizzare l’autonomia del giudice penale, e di conseguenza opinare per la tendenziale prevalenza, ai fini della confisca, della determinazione dell’imposta evasa come effettuata in sede penale; oppure all’opposto privilegiare la quantificazione del debito tributario proveniente dal creditore erario, e perciò dare esclusiva rilevanza a quest’ultima anche ai fini della confisca. I corollari dei due orientamenti sfociano nella diversa soluzione da dare ai casi in cui detta determinazione sia divergente: segnatamente, tutte le volte che il tributo pagato o in corso di pagamento all’erario sia inferiore a quello che il giudice penale ritiene evaso, alla stregua del primo orientamento potrà essere confiscato un ulteriore ammontare pari al maggior importo determinato in sede penale; alla luce del secondo, al contrario, nessuna somma ulteriore rispetto al debito cristallizzato dall’ente impositore potrà essere oggetto di confisca quale profitto del reato tributario.
Non è possibile, a causa dell’ampiezza del tema, affrontare funditus la questione della natura della confisca, diretta o per equivalente, nel diritto penale [2]. Già negli anni ’60 la Corte costituzionale evidenziava come “la confisca può presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica. Il suo contenuto, infatti, è sempre la privazione di beni economici, ma questa può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, si da assumere, di volta in volta, natura e funzione di pena, o di misura di sicurezza ovvero anche di misura civile o amministrativa. Ciò che pertanto spetta di considerare non è un astratta e generica figura di confisca, ma in concreto, la confisca così come risulta da una determinata legge” [3]. Più di recente, l’istituto è stato definito dal giudice di legittimità come camaleontico, ossia capace di adattarsi all’apparato normativo di riferimento e di recepirne le peculiari finalità [4]. In considerazione dello specifico aspetto che intendiamo indagare, ossia quello dei riflessi della determinazione amministrativa del tributo sulla individuazione del quantum confiscabile [5], conviene allora in modo più mirato muovere da alcuni punti fermi fissati dalla giurisprudenza circa la funzione della confisca contemplata per i reati tributari. Scopo dell’istituto, in generale, è quello di eliminare il vantaggio patrimoniale conseguito dal reo. Detto vantaggio è tendenzialmente pari all’imposta evasa [6], come di recente ribadito dalle Sezioni Unite, dopo qualche pregresso tentativo di allargarne l’ambito anche alle sanzioni amministrative dovute per il sottostante illecito tributario [7]. La Cassazione penale ha più volte affermato che il profitto del reato oggetto di confisca “è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale” [8]. In altre parole, la confisca del profitto dei reati tributari non mira tanto ad apprendere una res in sé pericolosa, quanto piuttosto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dalla commissione del delitto fiscale [9]. Immediato, dunque, il problema del rapporto con il pagamento dell’imposta: tant’è che prima [continua ..]
Questa generale ricostruzione della funzione della confisca ha dovuto poi misurarsi con varie questioni concernenti la rilevanza delle vicende attinenti alla determinazione del tributo sul versante prettamente fiscale. Sotto un primo profilo, ad esempio, si è specificato di non potersi procedere, in sede cautelare, a sequestro finalizzato a confisca in presenza di sgravi da parte dell’Agenzia delle Entrate o annullamenti dei provvedimenti impositivi ad opera delle Commissioni tributarie [13]. In questo ordine di idee, la Cassazione [14] ha pure di recente ritenuto che il giudice penale non possa disporre o mantenere la misura cautelare qualora sia intervenuta una sentenza tributaria, ancorché non definitiva, che abbia disposto l’annullamento dell’atto impositivo fondato sui medesimi fatti posti a base della misura cautelare e qualora, altresì, l’Agenzia delle Entrate abbia provveduto allo sgravio delle somme iscritte a ruolo. Non è del tutto chiaro, tuttavia, dalla lettura delle motivazioni di alcune sentenze che opinano in tal senso, se tale conclusione sia fondata sulla considerazione che l’annullamento della pretesa impositiva, in sede amministrativa o giudiziale, elimina in radice il problema della possibilità di sequestro finalizzato alla successiva confisca, o piuttosto sulla più semplice constatazione che in sede cautelare tali accadimenti fanno venir meno il fumus commissi delicti [15]. Ferma l’identità di conclusione, infatti, alcune pronunce, a causa dei termini assoluti nei quali formulano l’assunto dell’impossibilità di sequestro funzionale alla confisca, sembrano orientate nel senso del venir meno tout court del profitto del reato nel caso di annullamento dell’atto impositivo per mancanza di un debito tributario da ristorare; mentre altre valorizzano invece l’impatto sul fumus di provvedimenti esterni quali l’annullamento o lo sgravio, con valutazione tuttavia pur sempre rimessa al prudente apprezzamento del giudice procedente [16]. La questione ha dovuto essere in modo più puntuale affrontata in relazione al disposto dell’art. 12, D.Lgs. n. 74/2000 che – in caso di condanna o patteggiamento – per un verso rende obbligatoria la confisca, diretta o per equivalente, e per l’altro stabilisce che “la confisca non opera per la parte [continua ..]
Sul problema della potenziale divergenza della determinazione del tributo in sede penale ed in sede amministrativa e delle sue conseguenze sulla confisca, la Corte è tornata esplicitamente a pronunciarsi in due recenti sentenze. In particolare, nel primo caso, deciso dalla Cassazione penale nel 2018 (Cass., sez. III, 13 luglio 2018, n. 32213), la questione si è posta poiché, ferma la regola – espressione di un principio generale – secondo la quale la confisca non opera allorché il tributo sia stato già versato all’erario, occorreva capire come declinarne l’applicazione nell’eventualità di una divergente quantificazione dell’imposta evasa da parte dell’Agenzia delle Entrate rispetto al giudizio penale. In dettaglio, la diversa quantificazione discendeva dal fatto che mentre l’Agenzia, in conformità alla Circolare 11 maggio 2017, n. 16/E, aveva riconosciuto efficacia retroattiva alle norme più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 158/2015 in tema di operazioni soggette al regime di reverse charge – con conseguente determinazione di un minore ammontare di quanto dovuto all’Erario – il Tribunale del riesame, diversamente opinando, aveva optato per l’inapplicabilità retroattiva delle disposizioni più favorevoli sopravvenute, con connessa quantificazione in misura maggiore del debito del contribuente. Il giudice di legittimità ha risolto la questione optando per l’assoluta irrilevanza, ai fini della sussistenza dei presupposti per la confisca, della divergenza interpretativa sottostante alla differente ricostruzione del quantum evaso. Più precisamente la Suprema Corte, dopo aver precisato che la misura del sequestro è stata disposta come strumento prodromico volto a garantire l’effettività dell’eventuale successiva confisca del profitto del reato, ha evidenziato come la circostanza “che il contribuente abbia interamente versato all’erario gli importi richiesti dall’Agenzia delle Entrate, con riguardo a tutte le annualità in contestazione, si pone come elemento necessariamente ostativo alla possibilità di procedere alla confisca di quello che, dal Tribunale, è ritenuto essere il profitto del reato e, per l’effetto, al sequestro finalizzato alla confisca medesima”. A supporto [continua ..]
Esiste sul punto un diverso orientamento dello stesso giudice di legittimità, che muove dalla valorizzazione di due sostegni nomativi: l’uno rappresentato dall’abolizione dell’art. 21, comma 4, L. 7 gennaio 1929, n. 4, secondo il quale “per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti l’azione penale ha corso ‘dopo che l’accertamento dell’imposta è divenuto definitivo’” (c.d. pregiudiziale tributaria) e l’altro dall’art. 20, D.Lgs. n. 74/2000, a tenore del quale “il procedimento amministrativo di accertamento del processo ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o atti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”. Si tratta delle due disposizioni sulle quali poggia il c.d. principio del doppio binario, secondo il quale su un piano puramente astratto gli esiti del processo penale e del procedimento o processo tributario potrebbero completamente divergere, risolvendosi ad esempio in condanna sul versante penale ed annullamento della pretesa impositiva ad opera del giudice tributario [21]. Affrontando più in dettaglio il problema – e nel tentativo di temperare l’assoluta divaricazione del risultato dei due procedimenti – il giudice di legittimità già nel 2012 [22] specificava che l’accertamento del quantum dell’obbligo tributario costituisce un punto di riferimento ai fini della verifica del superamento della soglia di punibilità, non potendosi ipotizzare il reato laddove la pretesa tributaria dell’Amministrazione Finanziaria si collochi al di sotto della soglia suddetta. Ciò non toglie – aggiungeva la medesima sentenza – “che ai fini dell’individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario [23]. È ben possibile che la pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria venga ridimensionata dal giudice tributario; ma i possibili esiti di quest’ultimo, che [continua ..]
Il contrasto dei due diversi indirizzi menzionati è a prima vista evidente. Da una parte si baricentra il quantum della confisca sulla pretesa dell’ente creditorio Fisco: secondo tale orientamento il raggiungimento dell’accordo comporta la quantificazione nella misura concordata dell’eventuale profitto scaturente dalla commissione del reato; oltre tale importo non vi è pretesa tributaria e dunque nemmeno vi può essere confisca e, di conseguenza cautela reale ad essa finalizzata. Dall’altra, si ritiene invece che è la stessa nozione di profitto, corrispondente nella sostanza all’entità dell’imposta evasa, a non essere automaticamente intaccata dalla determinazione concordata del tributo la quale, in quanto scaturente da un intento transattivo, deve comunque essere vagliata sul piano della maggiore o minore attendibilità rispetto all’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta. Tuttavia, ad una più approfondita lettura anche delle sentenze che intendono in linea di principio salvaguardare l’autonomia del giudice penale, emerge in tralice la preoccupazione di non arrecare un vulnus insostenibile all’unitarietà dell’ordinamento, accettando come fisiologica conseguenza del doppio binario la possibile diversa ricostruzione dell’imposta evasa nelle due sfere giuridiche. Di qui il tentativo di recuperare un collegamento o quantomeno un coordinamento tra di esse, tracciato nella tendenziale prevalenza della determinazione operata dall’ente impositore, valorizzato come punto di riferimento superabile solo ponendo a carico del giudice penale un onere di motivazione rafforzata in ordine ai concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta pretesa da parte dell’Amministrazione rispetto a quella scaturente da procedimenti di adesione. Dietro entrambi gli orientamenti, anche se in modo diverso, alligna dunque l’esigenza di limitare la potenziale contraddizione che il sistema del doppio binario reca in sé, ossia quella di consentire una ricostruzione bifronte del nucleo comune del sistema repressivo e di quello impositivo, vale a dire il perimetro del dovere di contribuzione. Quello della confisca è forse il caso nel quale tale comunanza esonda nel modo [continua ..]