Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto tributario secondo la Corte costituzionale (di Francesco Montanari)


Il lavoro è incentrato sull’analisi dei principi espressi dalla Corte costituzionale nella recente sent. n. 158/2020. In particolare, sono stati definitivamente superati alcuni equivoci interpretativi secondo i quali sarebbe immanente al sistema un principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica. Al contrario, la Corte costituzionale ha fortemente valorizzato il principio di legalità e la sostanza giuridica, l’unica rilevante anche nella prospettiva del diritto tributario.

the prevalence of substance over form in tax law according to the Constitutional Court

The paper is focused on the principles highlighted by the Constitutional Court in its recent judgment no. 158/2020. Particularly, some interpretative misunderstandings according to which a principle of prevalence of (economic) substance over (legal) form is immanent in the system have been definitively overcome. On the contrary, the Constitutional Court has strongly enhanced the principle of legality and legal substance, the only one that is also relevant from the perspective of tax law.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. I principii enunciati dalla Consulta nella sent. n. 158/2020 - 3. La prevalenza della sostanza sulla forma quale (asserito) principio generale - 4. Il (definitivo) superamento del binomio sostanza economica-sostanza giuridica - 5. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Il dibattito su forma e sostanza nel diritto tributario gode, ciclicamente, di alterne fortune e di un altalenante interesse di dottrina e giurisprudenza. In particolare, nel corso del tempo, è emersa nella giurisprudenza una quanto mai “evanescente” nozione di sostanza economica che dovrebbe prevalere sulla forma giuridica e che la Consulta ha, finalmente, “ripudiato” (vd. diffusamente infra). Talune modifiche normative (il riferimento è al novellato art. 20 del D.P.R. n. 131/1986) e, soprattutto, una recente sentenza della Corte costituzionale [1], hanno, infatti, ravvivato un dibattito che non si è mai placato e che sottende opzioni ideologiche e concezioni, di fondo, del diritto e dei modelli di regolamentazione dei fenomeni giuridici spesso tra loro contrastanti (o, quanto meno, apparentemente tali). La Corte, in particolare, è stata chiamata a valutare la “tenuta” costituzionale del menzionato art. 20 il quale, nel testo attualmente in vigore, dispone che l’imposta di registro è applicata “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. Tutto nasce, come noto, da un’ordinanza di rinvio della Suprema Corte [2] secondo la quale, in estrema sintesi (ma sul punto si tornerà, all’occorrenza in seguito), il novellato art. 20 si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. non essendo più possibile “valorizzare” il collegamento negoziale. In particolare, la “preclusione della valutazione degli elementi extra-testuali e degli atti collegati sarebbe in contrasto con il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica”. La Corte costituzionale ha affrontato una serie di tematiche del diritto tributario (e non solamente dell’imposta di registro), ma i passaggi argomentativi utili ai fini del presente contributo, come si vedrà (vd. infra, par. II), sono, nella propria complessità, del tutto lineari. Non vi è alcun dubbio che la tematica in questione sia legata a “doppio filo” con quella dell’abuso del diritto (che, [continua ..]


2. I principii enunciati dalla Consulta nella sent. n. 158/2020

Le tematiche affrontate dai Giudici delle Leggi sono molteplici e complesse, spaziando dalla natura dell’imposta di registro [6], sino alla causa in concreto di matrice civilistica. I passaggi argomentativi che, tuttavia, sono di interesse nell’ottica del presente contributo, sono i seguenti. La pronuncia, nel rigettare, in quanto infondata, la questione di legittimità, incentrata su un’ipotetica violazione degli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 nella versione post Legge di Bilancio 2018 [7], parte dal presupposto che “tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare, quello sistematico) convergono univocamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi extra-testuali e dagli atti ad esso collegati”. Le modifiche normative, dunque, sono “finalizzate a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione … senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori, salvo che ciò sia espressamente stabilito dalla stessa disciplina del testo unico”. Conclude, dunque, la Corte affermando che “le questioni prospettate con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. sono non fondate, in quanto si basano sull’assunto … che … i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri”. Infine, ma non per ordine di importanza, l’interpretazione proposta dalla Cassazione – secondo cui l’esclusione della rilevanza interpretativa di elementi estranei all’atto favorirebbe l’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali sottraendo all’imposizione, “l’effettiva ricchezza imponibile” – viene considerata priva di pregio. Infatti, “l’interpretazione evolutiva dell’art. 20 … incentrata sulla nozione di ‘causa reale’, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a [continua ..]


3. La prevalenza della sostanza sulla forma quale (asserito) principio generale

Prima di analizzare i fondamentali principi enunciati dalla Consulta, preme, preliminarmente, soffermarsi su “che cosa non hanno detto” i Giudici delle leggi in quanto nell’ordinanza di rinvio della Corte di Cassazione viene presa posizione netta su talune questioni di non poco momento. L’unica “pecca” (a voler essere estremamente rigorosi) della sent. n. 158/2020, infatti, attiene ad una questione centrale evocata dalla Suprema Corte nel­l’ordinanza di rinvio, ma totalmente posta sotto silenzio dalla Corte costituzionale: quello della esistenza (o meno) di un principio generale di prevalenza della sostanza sulla forma. Il tema è, evidentemente, fondamentale sia per quanto concerne l’ambito “angusto” dell’imposta di registro, sia, più in generale, per tutto l’ordinamento tributario: è ovvio che affermare che la prevalenza della sostanza (di quale sostanza si tratti ce ne occuperemo in seguito) sulla forma si pone al vertice dell’ordinamento addirittura come principio ha non poche conseguenze sotto diversi profili che toccano i punti nevralgici del diritto tributario. I giudici di Legittimità, infatti, in detta ordinanza, senza alcun timore o tentennamento, parlano, espressamente, di “principio imprescindibile ed anche storicamente radicato della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica”. Al tempo stesso la parte privata aveva rilevato che “quanto al profilo della imprescindibilità, che (eccettuate alcune specifiche ed eccezionali ipotesi introdotte nell’ambito dell’imposizione sui redditi, anche a seguito dell’adeguamento della di­sciplina nazionale ai cosiddetti principi contabili internazionali) non solo la prevalenza della sostanza sulla forma non costituisce un principio della materia tributaria, ma un suo affermarsi nei termini auspicati dal rimettente sovvertirebbe le fonti del diritto, sostituendole con un diritto vivente del caso singolo e del (mutevole) precedente giurisprudenziale”. Sul punto la Corte costituzionale, forse non sentendosi “investita” specificatamente della questione, ha completamente taciuto e, quindi, rimane ancora oggi “pendente” il dubbio circa la fonte di tale asserito principio (tanto più che, come si è già avuto modo di osservare in altra sede, pare sussistere, [continua ..]


4. Il (definitivo) superamento del binomio sostanza economica-sostanza giuridica

Il tema trattato dalla Corte costituzionale ha radici profondissime la cui trattazione travalica, di molto, l’economia del presente lavoro [24]. Al tempo stesso, i principi enunciati dai Giudici delle Leggi sembrano fare, definitivamente, chiarezza su un equivoco concettuale che attanaglia la dottrina (non solo tributaria) da molto tempo. Il riferimento è, evidentemente, alla asserita sussistenza (rectius, supremazia) di una sostanza economica da assoggettare ad imposizione che – specialmente nel pensiero della giurisprudenza – dovrebbe prevalere su quella giuridica. La Corte, infatti, partendo dal problema “specifico” del perimetro applicativo dell’art. 20, detta taluni principi che paiono, finalmente, chiarire che non esiste alcuna sostanza economica “ulteriore” rispetto a quella giuridica. Il costante richiamo alla sostanza economica, infatti, altro non è che il tentativo di ricercare, inopinatamente, degli effetti giuridici ulteriori – ma inesistenti – rispetto a quelli che nascono dalla fattispecie legale: ciò in ragione di interessi (ritenuti) superiori e che il legislatore, secondo la giurisprudenza “creativa”, non sarebbe in grado di tutelare. Mediante il “grimaldello” della sostanza economica, infatti, la giurisprudenza attribuisce “rilevanza fiscale” a fenomenologie non previste dal legislatore. D’altro canto, tale circostanza emerge, chiaramente, dalla ordinanza di rinvio alla Consulta in cui la ricerca della sostanza economica è sempre legata, a doppio filo, con le patologie, “dimenticandosi” la Suprema Corte che l’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente, come finalmente chiarito dalla Corte costituzionale, ha proprio lo scopo di contrastare gli assetti negoziali non genuini. Sul punto la sentenza della Corte costituzionale “spazza via” anni di equivoci e di tentativi di soverchiare le scelte del legislatore, in spregio ai basilari principi dell’ordinamento, primo fra tutti quello di legalità. In realtà, la valorizzazione di una asserita “sostanza economica” ulteriore rispetto a quella giuridica non era neppure prerogativa della Scuola Pavese, fautrice della ben nota interpretazione funzionale. Le teorie della scuola pavese, infatti, non avevano alcunché di [continua ..]


5. Conclusioni

La sostanza economica – che è cosa seria e che non può essere costantemente evocata con mere finalità “punitive” – è materia di totale appannaggio degli economisti i quali hanno il precipuo compito di quantificare e misurare gli effetti di fatti, atti e contratti. Il punto è che fino a che questi ultimi non vengono “giuridicizzati” essi non possono che rimanere esterni (ed estranei) al mondo del diritto. Con ciò non si vuole, in alcun modo, sminuire la rilevanza degli effetti economici delle scelte legislative e del ruolo che essi hanno nella regolamentazione dei “fenomeni umani”. Anzi, il legislatore sovrano dovrebbe tenere conto ben di più di quanto non avvenga, di nuove e sempre più rilevanti manifestazioni di ricchezza che sfuggono ad imposizione (ed, al tempo stesso, rivedere categorie vetuste e non più idoneo a rappresentare, realmente, la forza economica da assoggettare ad imposizione). Al tempo stesso, occorrerebbe valorizzare ed enfatizzare, sulla base di dati empirici, gli effetti delle scelte legislative e le potenziali criticità sul piano applicativo. Ma tale compito non può essere, in alcun modo, “delegato” all’Ammini­strazione Finanziaria ed alla giurisprudenza: pena una grave violazione del principio di legalità che, proprio alla luce delle derive giurisprudenziali [58] men­zionate, deve, invece, essere valorizzato e riaffermato con forza (così come ha fatto la Consulta nella sent. n. 158/2020). Correndo il rischio di rasentare la banalità, è ovvio che qualunque accadimento giuridico (ma anche meramente fattuale) può produrre, o meno, effetti economici (positivi e negativi, depauperativi, di arricchimento, ecc.): rimane il fatto che la causa e la qualificazione dell’accadimento nasce e rimane giuridica, così come, soprattutto, sono giuridici i criteri di qualificazione e gli interessi in gioco. Volendo banalizzare ed estremizzare a meri fini descrittivi, si paragonino due contratti tipici: un contratto di compravendita con uno di donazione, aventi entrambi ad oggetto il medesimo bene (quindi, del medesimo pregio, valore, ecc.). Sul piano della qualificazione della fattispecie, il primo è un contratto a titolo oneroso, mentre il secondo è un contratto a titolo gratuito: e ciò che li distingue [continua ..]


NOTE