La Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, in quanto quest’ultimo consente all’Amministrazione Finanziaria di intestare e notificare alla società gli atti tributari (espressione delle attività di accertamento, di riscossione e sanzionatoria), senza affermarne per ciò stesso una singolare sopravvivenza fiscale.
The Constitutional Court declares unfounded the question of constitutional legitimacy of Art. 28, para. 4, Legislative Decree no. 175 of 21 November 2014, as the latter allows the tax authorities only to register and notify the company of tax acts (expression of the tax assessment, tax collection and tax penalty activities), without thereby affirming a singular “fiscal survival” of the company.
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1. Premessa - 2. Sulla possibile esegesi della disposizione censurata - 3. I passaggi decisivi della sentenza - 4. I punti dolenti della decisione - 5. Precisazioni finali - NOTE
Con la sent. 8 luglio 2020, n. 142 la Corte costituzionale scrutina la legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, sulle questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione della Commissione Tributaria Provinciale di Benevento del 13 marzo 2019. L’art. 28, comma 4, cit. dispone: «Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese». Della legittimità costituzionale di tale previsione la Commissione Tributaria campana dubitava per violazione: dell’art. 3 Cost. per l’ingiustificata disparità di trattamento che si avrebbe tra Amministrazione Finanziaria e creditori sociali [1]; dell’art. 76 Cost. per l’eccesso della delega di cui all’art. 7 della L. 23 marzo 2014, n. 23, in cui sarebbe incorso il legislatore delegato [2]. La sentenza dichiara infondate entrambe le questioni. La pronuncia della Corte era attesa, anzi parecchio attesa, avvertendosi una diffusa esigenza di chiarezza in ordine all’interpretazione di una disposizione che tanto impatto ha avuto nell’azione dell’Amministrazione Finanziaria e nel contenzioso che ne è seguito. Il comma 4 dell’art. 28 cit. è stato fortemente voluto dal legislatore [3], ma non è difficile dire anche dall’Agenzia delle Entrate [4], quale risposta – invero tardiva – alla presa d’atto della giurisprudenza di legittimità dell’immediata estinzione delle società a seguito della loro cancellazione dal registro delle imprese: a tanto si perveniva in forza della riscrittura dell’art. 2495 c.c., avvenuta nel 2003 [5], ma la presa d’atto della giurisprudenza di legittimità era stata travagliata (risaltano le pronunce delle Sezioni Unite, 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061, 4062 e 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071, 6072) e l’Amministrazione Finanziaria non si era tempestivamente ed adeguatamente allineata. Tuttavia esso si è tradotto in un intervento maldestro, già sul piano della grammatica e della sintassi, che non ne ha agevolato affatto [continua ..]
Riferita in qualche modo la genesi del comma 4 dell’art. 28, D.Lgs. n. 175/2014 [10], occorre soffermarsi sulla sua possibile esegesi. E a tal fine in questa sede si vogliono fare veloci considerazioni, a mo’ di schema e sulla scorta di quanto è stato detto [11], che siano funzionali a comprendere meglio la decisione della Corte costituzionale. Esse presuppongono che, in linea ormai col diritto vivente, l’estinzione della società origini una successione dei soci nelle situazioni giuridiche della prima [12], su cui non si indugia in questa sede [13], e che nella successione società-soci limitatamente ad alcuni effetti tributari («validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi») si inserisca una norma speciale, piuttosto singolare e di non facile esegesi, qual è, appunto, l’art. 28, comma 4, cit. [14]. Per quanto tale previsione sia dedicata all’azione dell’Amministrazione Finanziaria («Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese»), che appunto consente nei confronti della società estinta, essa ha indotto e induce a vedere come fa appunto l’ordinanza di rimessione, ma già l’Amministrazione Finanziaria (promotrice anche di una sua applicazione retroattiva [15]), una parziale persistenza in vita della società estinta, limitata cioè ai rapporti con il fisco e per cinque anni; sicché, dall’apposizione di un termine finale a tale sopravvivenza deriverebbe una successione dei soci nelle situazioni giuridiche tributarie della società solo dopo che siano decorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese. A tal proposito, oltre all’uso di ricorrenti formule pregnanti ed emblematiche, quali la “reviviscenza”, l’“estinzione postuma”, la “risurrezione”, si ricordano i riferimenti ad «una diversa disciplina degli effetti derivanti dall’estinzione della [continua ..]
Quanto esposto può dirsi il sostrato in cui matura la decisione della Corte costituzionale di esclusione della sopravvivenza fiscale delle società estinte o comunque rende comprensibili le ragioni della stessa e forse anche la sua stessa prevedibilità. E in qualche modo anticipa un giudizio positivo sulla decisione. Se però ne è condivisibile l’epilogo, non altrettanto può dirsi per gli itinerari che conducono allo stesso. Infatti il ragionamento: manca di un’adeguata esegesi letterale e di sistema dell’art. 28, comma 4, cit., cui si è cercato di sopperire nel paragrafo precedente; è condotto essenzialmente con riferimento ad una delle due questioni di legittimità costituzionale sollevate, quella ex art. 76 Cost. (non potendosi considerare svolta l’altra questione, quella ex art. 3 Cost., come si dirà infra [22]); consta di passaggi, quelli riferiti in precedenza, che sono concisi [23] e probabilmente avrebbero meritato un maggiore risalto, i quali, per di più, non sono affatto lineari e propriamente conducenti. Tuttavia, questi ultimi pur con i limiti riferiti, possono considerarsi risolutivi dell’intera decisione e meritano di essere ripercorsi, anche per superare le critiche che su di essi possono appuntarsi. Così le affermazioni in cui si articolano non sono esenti da sbavature. «La stabilizzazione degli atti dell’amministrazione finanziaria» – come chiarisce il contesto in cui la formula è collocata e, forse, riecheggiando qualche precedente giurisprudenza [24] – non presuppone una precarietà degli stessi che viene meno in forza della disposizione speciale tributaria, ma è da intendere che in forza di quest’ultima gli atti dell’amministrazione possono essere validamente intestati e notificati alla società estinta e produrre di conseguenza i loro effetti stabilmente: nei confronti (non della società, che appunto è venuta meno, ma) dei soci. E non brilla certo per chiarezza dire che la stessa disposizione «agevola la definizione delle situazioni giuridiche soggettive passive e attive del contribuente»: ripresa da una generica indicazione della legge delega [25], con cui si cerca un positivo collegamento (visto che si ragiona del lamentato eccesso di delega), la formula va preferibilmente [continua ..]
Come si è rilevato, la sentenza manca di un’adeguata esegesi letterale e di sistema dell’art. 28, comma 4, cit., che è presupposta dal sindacato di compatibilità costituzionale e che avrebbe consentito un piano scrutinio delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, a partire da quella ex art. 3 Cost., su cui si addensavano maggiori critiche e attese. Tuttavia, se in qualche modo la sentenza “rimedia” assumendo una esegesi in seno all’analisi di compatibilità ex art. 76 Cost., non altrettanto può dirsi per lo scrutinio dell’altra questione di legittimità, quella ex art. 3 Cost. A quest’ultima, per di più, si dedicano spazio e attenzione marginali e, nonostante sia sollevata per prima, se ne pospone la trattazione. Però le “vere” critiche che si vogliono sollevare alla decisione non sono tanto queste, quanto e più che altro che la questione di legittimità ex art. 3 Cost. non risulta nella sostanza sviluppata. La sentenza, infatti, esclude la lamentata disparità di trattamento tra Amministrazione Finanziaria e altri creditori sociali [31], semplicemente perché «non è configurabile una piena equiparazione fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie, per la particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime …»; sicché «l’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina ordinaria» [32]. Ma che le obbligazioni tributarie abbiano contenuti diversi da quelle di diritto comune è normale, come anche che le obbligazioni si possano distinguere per fini e presupposti. Ed affermare solo per ciò la specialità delle stesse, e dell’interesse fiscale che esprimono, significa nella sostanza postularla. Né valgono a sostegno i richiami a precedenti della stessa Corte, che pure sono addotti e su cui anzi la sentenza indugia. Due di essi (alle sentenze 30 luglio 1997, n. 291 e 28 ottobre 2011, n. 281), infatti, si possono giustificare solo per incisi tralatizi che a loro volta rinviano a pronunce di ben altra contestualizzazione (e di diverso spessore) e non sono né pertinenti né conferenti, giacché le pronunce richiamate vertono su istituti specifici nient’affatto comparabili [continua ..]
La poco lineare soluzione della prima questione di legittimità costituzionale, quella ex art. 76 Cost., e le debolezze intrinseche della soluzione della seconda questione di legittimità, quella ex art. 3 Cost., unitamente alla sua marginalizzazione, hanno indotto chi scrive a proporre un’analisi destrutturata della sentenza, vale a dire un’analisi che, recuperando il sostrato della pronuncia e non sovrapponendosi più di tanto al pensiero della Corte costituzionale, guardasse ai passaggi decisivi e condivisibili della sentenza [39], a prescindere dalla loro collocazione, potendo essi giustificare in un’ottica di sistema la soluzione data alle due questioni di legittimità costituzionale [40]. A completamento dell’analisi condotta si impongono alcune precisazioni, che integrino la sentenza su aspetti contigui, ma trascurati, e dissipino eventuali equivoci cui formule poco felici possano dar luogo. Si vogliono svolgere brevi considerazioni che contribuiscano a definire l’ambito di operatività dell’art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014, come interpretato dalla Corte costituzionale, sui versanti delle società di persone e della restante azione dell’Amministrazione Finanziaria. Così e in primo luogo, la sentenza non chiarisce se l’art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014 si estenda alle società di persone estinte; e di certo a tal fine, in difetto di espliciti riferimenti, non sono circostanze significative né che essa riguardi una vicenda che coinvolge una società a responsabilità limitata, né che in direzione opposta essa talvolta richiami genericamente le “società”. Sicché diventa imprescindibile l’esegesi dell’art. 28, comma 4, cit., la cui lettera anche su questo fronte non può dirsi felice. Probabilmente, esso è stato “pensato” in funzione delle società di capitali o per lo meno a tanto induce il richiamo espresso all’art. 2495 c.c., il quale si riferisce appunto alle società di capitali (come anche la spiegazione fornitane nella relazione governativa [41]); e ciò potrebbe dirsi confermato da una lettura d’insieme dell’art. 28, che, ai commi 5 e 7, interviene sull’art. 36, D.P.R. n. 602/1973, il quale si riferisce ai soggetti passivi [continua ..]