Nell’approccio dell’economia circolare, adottato anche a livello europeo, gli interessi economici e quelli ambientali viaggiano per la prima volta sullo stesso binario, sono coincidenti e non più confliggenti ed in quest’ottica trova ragione il “principio di integrazione”. L’attività del legislatore tributario potrebbe orientarsi in funzione delle linee di sviluppo dell’economia circolare. Nel presente contributo si offrono alcuni spunti per possibili interventi a livello locale e regionale.
In the circular economy approach economic and environmental interests are on the same track and, in this way, makes sense the "principle of integration". Tax legislation could be oriented to the development lines of the circular economy. This paper offers ideas for some measures at local and regional level.
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1. Premessa. La fiscalità ambientale e le direttrici che si ricavano dal modello dell’economia circolare in funzione di uno “sviluppo sostenibile” - 1.1. Il tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi - 1.1.1. La legge della Regione Puglia e la dichiarazione di illegittimità costituzionale - 1.1.2. Le modifiche alla legge regionale dopo la sentenza della Corte cost. n. 85/2017 - 1.2. La TARI e la sua incidenza sul tributo speciale - 1.2.1. Le agevolazioni e le esenzioni TARI con funzione ambientale - 1.2.2. La tariffazione puntuale - 2. I settori di intervento sotto il profilo soggettivo e oggettivo - 2.1. IRAP e scopi ambientali - 3. Il possibile utilizzo degli altri tributi regionali in funzione ambientale - NOTE
Le logiche sottese alle politiche ambientali nel sistema del diritto europeo sono mutate nel corso del tempo e, con esse, anche il ruolo della fiscalità negli ordinamenti interni. Appare infatti tendenzialmente recessivo l’approccio in base al quale l’ambiente può considerarsi un bene suscettibile di essere consumato o deteriorato e il cui consumo o deterioramento può poi dar luogo ad un corrispettivo (per i diritti d’inquinamento), ad un’obbligazione tributaria (laddove sia istituito un tributo sul consumo dei beni ambientali) ovvero ad un’obbligazione da fatto illecito civile o penale. In base alle più recenti tendenze gli interessi ambientali dovrebbero considerarsi integrati in tutti i settori del diritto e dell’economia. Sotto quest’ultimo profilo, si deve anche sottolineare che i presupposti su cui si fondavano le teorie economiche, in base alle quali l’inquinamento doveva considerarsi alla stregua di una diseconomia da correggere attraverso un sistema di regolazione statale (comprendente sia sistemi di direct regulation, che di economic regulation, tra i quali ultimi rientrano i tributi “pigouviani”) paiono venir meno. Si muoveva infatti dall’idea che le potenzialità del sistema fossero di crescita illimitata e che le risorse fossero insuscettibili di essere consumate [1]. Allo stato delle cose emerge invece un’altra prospettiva: non si tratta più di individuare un sistema per garantire l’efficienza allocativa, in modo che non si determinino disfunzioni nello sviluppo economico, ma si prospetta – sempre più come necessità – l’ipotesi di un cambiamento nel modello di sviluppo [2]. Da qui l’elaborazione e l’adozione, anche a livello europeo, di modelli teorici di “economia circolare” che sostituiscano gli schemi lineari attuali. L’economia lineare è il modello del prendi, produci usa e getta in cui si utilizzano materie prime vergini e in cui i prodotti una volta usati vengono trasformati in rifiuti anche se non hanno completato il loro ciclo di vita, ma sono solo vecchi, fuori moda, o non più desiderati e vengono conferiti in discarica. L’economia circolare, al contrario, è il sistema in cui non dovrebbero esserci più rifiuti, essendo destinati a sostituire le materie prime tradizionali nei processi produttivi. In definitiva, [continua ..]
è noto che il tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti è un tributo proprio derivato istituito con legge statale (L. n. 549/1995). Inizialmente, atteso che la Regione ha chiaramente delle competenze in merito alla programmazione di interventi per la prevenzione e il controllo dell’igiene del suolo con specifico riferimento alla disciplina della raccolta, trasformazione e smaltimento dei rifiuti, la circostanza che il gettito dovesse confluire in un apposito fondo regionale per la realizzazione di obiettivi relativi a tali competenze aveva fatto propendere per la qualificazione del tributo come proprio della Regione. Da più parti si è invocato un diverso e migliore utilizzo del tributo, soprattutto per il raggiungimento degli obiettivi che il legislatore aveva originariamente posto. L’occasione si era presentata con la L. n. 42/2009 [7], che avrebbe potuto consentire l’inserimento di alcuni tributi previsti con legge statale nella categoria dei tributi propri Regionali in relazione a presupposti non precedentemente assoggettati ad imposizione erariale [8]. L’“ecotassa” sarebbe potuta diventare un tributo proprio regionale in quanto il suo presupposto non si sarebbe sovrapposto a quello di altre imposte statali, ma ciò in effetti non è avvenuto: l’art. 8, n. 1, D.L. 6 maggio 2011, n. 68, che ha trasformato in tributi propri regionali alcuni tributi istituiti con legge statale ma sostanzialmente riferiti alla Regione, non ha operato in tal senso. Conseguentemente l’ecotassa si deve qualificare come un tributo proprio derivato per il quale la Regione ha ridotti margini di manovra. Il mantenimento dell’“ecotassa” tra i tributi propri derivati potrebbe trovare ragione avendo riguardo all’orientamento – inaugurato con la sent. n. 58/2017 e riproposto nella pronuncia che di seguito analizzeremo ed in altre di poco successive [9] – in base al quale parrebbero prospettarsi, più in generale, alle Regioni a statuto ordinario stringenti limiti per l’eventuale istituzione di tributi propri ambientali. D’altro canto, gli interventi da parte delle Regioni sull’impianto del tributo in funzione delle proprie esigenze anche oltre i limiti consentiti dalla legge statale sembrerebbero dipendere dalle concrete modalità con cui esso viene gestito, modalità [continua ..]
In effetti alcuni interventi regionali sul tributo in questione sono stati, di recente, oggetto di censura costituzionale [10]. La Consulta si è trovata, come in altre occasioni [11], a dover ribadire la natura di tributo proprio derivato del contributo speciale, conseguentemente censurando il legislatore regionale determinatosi a modularne l’applicazione oltre i limiti consentiti dalla legge statale. Con la richiamata sentenza la Corte ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 8, della legge della Regione Puglia 30 dicembre 2011, n. 38 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2012 e bilancio pluriennale 2012-2014 della Regione Puglia), in contrasto con gli artt. 117, comma 2, lett. e) e 119 oltreché con l’art. 117, lett. s), Cost. La disposizione della legge regionale posta al vaglio di legittimità introduceva un aggravio del tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi “agli scarti e ai sovvalli di impianti di selezione automatica, riciclaggio e compostaggio” e ciò in aperto contrasto con la normativa statale (art. 3, comma 40, L. n. 549/1995 [12]) che per il conferimento dei medesimi “scarti e sovvalli” prevede una sensibile riduzione del tributo. La Regione difendeva il proprio operato insistendo per l’inammissibilità della questione in ragione della sua irrilevanza, nel presupposto che l’ambito applicativo della disposizione statale dovesse considerarsi limitato agli scarti e sovvalli provenienti dalla raccolta differenziata. Secondo la Regione, solo attraverso il processo di recupero e differenziazione a monte sarebbe ottenibile l’obiettivo del conferimento in discarica delle frazioni non più valorizzabili, obiettivo cui la norma statale tenderebbe, accordando, in questa ipotesi, una riduzione del tributo dovuto. Ed in effetti, il nodo interpretativo maggiore che la Consulta ha sciolto riguardava la rilevanza dell’eccezione di legittimità sollevata dal Tar pugliese, questione strettamente collegata alla corretta interpretazione della disposizione statale prima richiamata. Per giungere ad individuare la ratio della disposizione in esame e la sua corretta applicazione la Corte ha ricostruito, anche sotto il profilo cronologico, il quadro normativo esistente. Atteso che la L. n. 549/1995, istitutiva del tributo speciale per il [continua ..]
Dopo la pronuncia della Corte costituzionale il legislatore regionale pugliese è nuovamente intervenuto per rimodulare l’impianto del tributo speciale di cui qui si discute. La modifica normativa si è risolta nell’integrale abrogazione dell’art. 7, L.R. n. 38/2001 che – nell’ambito di un provvedimento più ampio contenente le disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2012 e bilancio pluriennale 2012-2014 – disciplinava, per gli aspetti di competenza della regione, il tributo speciale. L’intera regolamentazione della materia è oggi trasfusa nella L.R. Puglia 27 marzo 2018, n. 8 rubricata “Tributo speciale per il deposito in discarica e in impianti di incenerimento senza recupero energetico dei rifiuti solidi” nella quale – ferma restando la previsione statale, recepita nella disciplina regionale, riguardante il trattamento di scarti e sovvalli non più riutilizzabili – sono state innestate anche le previsioni del codice dell’ambiente (D.Lgs. n. 152/2006) relative alle addizionali e premialità sul tributo in questione per l’attività di raccolta differenziata [20]. Ne deriva che, nella legislazione regionale pugliese, attualmente la finalità specifica del tributo – ossia la diminuzione dei rifiuti conferiti in discarica – è perseguita, da un lato, attraverso il riconoscimento di una riduzione del tributo speciale (dal 30% al 70%) modulata in ragione della quota di superamento di un dato livello percentuale di raccolta differenziata [21], dall’altro lato, con la previsione di una addizionale in caso mancato conseguimento degli obiettivi minimi di raccolta differenziata fissati dal D.Lgs. n. 152/2006 [22]. L’ulteriore modifica posta in essere, fermo restando il fondo già istituito con la L. n. 7, della L. n. 38/2011 [23], riconfermato con l’art. 21, L. n. 45/2018 [24], riguarda la creazione di un ulteriore fondo, nel quale convergeranno le somme riscosse per effetto dell’applicazione dell’addizionale, destinato a finanziare gli interventi di prevenzione della produzione dei rifiuti previsti dai piani regionali [25], gli incentivi per l’acquisto di prodotti e materiali riciclati di cui agli artt. 206 quater e 206 quinquies, D.Lgs. n. 152/2006, il cofinanziamento degli impianti e l’attività di [continua ..]
La nuova disciplina dell’ecotassa elaborata dalla Regione Puglia si muove in una specifica direzione nel presupposto che il tributo in questione possa fungere da incentivo per una più efficiente gestione dei rifiuti urbani, mercé la quale si determinerebbe anche una riduzione dei costi sostenuti dai singoli contribuenti. L’ecotassa e la TARI, parrebbero infatti atteggiarsi a tributi complementari le cui dinamiche si intrecciano e concorrono per la possibile realizzazione di una finalità ambientale. Atteso che il tributo speciale si pone alla stregua di un costo di gestione dei rifiuti, la tariffa ingloba l’importo dell’ecotassa, che a sua volta è parametrata alla quantità di rifiuti conferiti. In definitiva, analizzando il rapporto tra i due tributi, si ricava che il costo dello smaltimento dei rifiuti si fa gravare sui relativi detentori, cui si somma il tributo regionale. Conseguentemente, meno efficiente sarà la gestione dei rifiuti da parte delle amministrazioni comunali, in termini di sversamento nelle discariche, più onerosa potrebbe risultare la gestione del servizio per effetto anche dell’onere rappresentato dall’ecotassa. Ma il tributo appena menzionato non costituisce, in realtà, un onere economico assai rilevante per le amministrazioni comunali nel complesso dei costi sostenuti per la gestione del servizio. Da una analisi empirica effettuata su un campione di Comuni pugliesi [27] è emerso, infatti, che le voci di costo che incidono sulla TARI sono rappresentate in primo luogo dal canone d’appalto corrisposto al gestore del servizio e, in secondo luogo, dai costi di smaltimento e trattamento dei rifiuti. Infatti, benché nella maggior parte dei casi i Comuni abbiano attivato la raccolta differenziata (con il metodo porta-a-porta), lo sfruttamento del valore economico dei rifiuti attraverso il loro riutilizzo è in sostanza impedito dall’esistenza di una sotto dotazione impiantistica nella filiera del trattamento e del recupero, circostanza che favorisce, di fatto, lo smaltimento in discarica. La raccolta differenziata rappresenta sicuramente un metodo efficace per ottenere risultati migliori rispetto ad altri modelli organizzativi in termini di qualità dei materiali da poter avviare al riciclo ma, evidentemente, la carenza di adeguata impiantistica non consente di portare a termine fruttuosamente [continua ..]
Si può infatti notare che il tributo appena menzionato può, per espressa previsione normativa, essere ridotto in ragione della minore produzione di rifiuti, atteggiandosi, in tal modo, a tributo ambientale in senso stretto similmente all’“ecotassa” prima esaminata. Le riduzioni della TARI possono essere prese in considerazione per la finalità specifica cui tendono. Nella maggior parte dei casi le riduzioni comportano una diminuzione del tributo dovuto in conseguenza di una presunta minore produzione di rifiuti, contestualmente incentivando comportamenti ecocompatibili. Innanzitutto nella modulazione della tariffa sono assicurate riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche [30]. Dalla formulazione normativa (“sono assicurate”) si può ragionevolmente ricavare un obbligo per il comune di prevedere tali istituti nei propri regolamenti, ferma restando la necessità di definire le relative modalità applicative. Si tratta comunque di una forma di abbattimento che potrebbe incidere sulla quota variabile del tributo, componente che risente direttamente del livello dei costi di smaltimento dei rifiuti, atteso che la raccolta differenziata potrebbe risultare utile per conseguire una diminuzione degli scarti da conferire in discarica [31]. La riduzione si presta, comunque, ad essere modulata a discrezione del Comune e dunque può incidere tanto sulla parte variabile, che sulla parte fissa della tariffa risultando preferibile, in ragione della finalità della disposizione normativa, l’adozione di un sistema legato ai risultati raggiunti dagli utenti. La riduzione può interessare tanto la collettività, quanto il singolo che abbia posto in essere comportamenti virtuosi. Evidentemente le modalità applicative risulteranno diverse. Nel primo caso potrebbe risultare sufficiente solo una misurazione complessiva dei livelli di raccolta differenziata per verificarne l’incremento [32], mentre nel secondo caso, sembrerebbe necessario utilizzare un sistema di misurazione individuale del livello di raccolta [33]. L’attività di raccolta differenziata non comporta, tuttavia, una riduzione in assoluto dei rifiuti prodotti ma determina l’aumento delle possibilità di recuperare e valorizzare economicamente gli scarti con conseguente minore afflusso alle discariche. Su un altro piano si [continua ..]
In relazione all’ultimo punto indicato ci si può chiedere se il passaggio ad un altro sistema in cui il singolo consociato “paga per ciò che inquina” ossia per i rifiuti effettivamente prodotti possa portare a risultati migliori in termini ambientali. Considerando che allo stato attuale, non vi è alcuna normativa che imponga un metodo preciso di finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, tale finanziamento può essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità [42]. Laddove si determinino le condizioni materiali, tecniche e/o economiche, per implementare un prelievo per il servizio rifiuti idoneo a ripartire in modo più equo ed efficiente – anche in termini ambientali – i relativi costi in ragione dell’effettivo concorso di ciascuno alla loro produzione, in forza dei principi europei “chi inquina paga”, “precauzione” e “prevenzione” tale sistema dovrebbe essere utilizzato. La necessità di conformarsi al diritto europeo e, ancor prima, la necessità di tutelare l’ambiente e la salute umana, richiedono infatti che le politiche ambientali si evolvano portando all’adozione di strumenti più efficaci ed efficienti ogni qual volta ciò sia possibile. La tariffa puntuale potrebbe rivelarsi uno strumento capace di influenzare l’attitudine a produrre rifiuti premiando comportamenti virtuosi e disincentivando, con un maggior addebito, quelli non virtuosi. Ne deriva che la scelta di copertura dei costi del servizio tramite la TARI rimane un’opzione ragionevole ed accettabile sin tanto che non emergano soluzioni organizzative che si dimostrino più efficaci nel disincentivare in concreto la produzione di rifiuti. Queste considerazioni, possono costituire un’utile chiave di lettura in merito alla questione, che si presenta come controversa, relativa al quantum del costo del servizio da coprire con una tariffa puntuale non solo affinché si possa trattare di un corrispettivo in senso proprio, ma anche per ritenere preferibile, per il perseguimento di finalità ambientali, tale sistema. I costi, infatti, sono sempre distinti in fissi e variabili, e atteso che i primi (relativi ad esempio all’impiantistica di servizio, lo spazzamento stradale, ecc.) si riferiscono a servizi essenziali, necessari e [continua ..]
Riguardo i settori di intervento che possono interessare i soggetti economici pare opportuno innanzitutto osservare che, a livello europeo, si è affermata l’idea che all’impresa debba essere riconosciuta una “responsabilità sociale”, formula con la quale si vuole intendere l’impegno volontario a contribuire di propria iniziativa a migliorare la società e a rendere più pulito l’ambiente assunto dagli operatori economici. Quest’ultimo rappresenta uno degli obiettivi, fissati a livello sovranazionale, sul quale le imprese sono invitate a concentrare il massimo sforzo su base spontanea nello svolgimento delle consuete attività commerciali. Lo schema suggerito dovrebbe servire a condizionare la condotta dei soggetti economici, soprattutto quando sono chiamati ad operare fuori dal continente europeo e, in generale, negli Stati con scarse tradizioni ecologiche [56]. Nel Libro verde, “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” (p.to 2.1.4) [57] la Commissione ha affermato che “una riduzione del consumo delle risorse o delle emissioni inquinanti e dei rifiuti può comportare una diminuzione delle ripercussioni sull’ambiente. Tale strategia può recare vantaggi all’impresa riducendo la sua fattura energetica e le spese di eliminazione dei rifiuti abbassando le spese di materie prime e di misure contro l’inquinamento” [58]. Con riferimento alla tematica che ci occupa, occorre anche segnalare che a livello europeo, l’emersione di un interesse alla riduzione dell’impatto ambientale della attività produttive ha, già da tempo, portato all’adozione della cosiddetta PIP (o IPP Integrated Product Policy) la quale si basa sull’assunta consapevolezza che le politiche ambientali di prodotto non possano esclusivamente concentrarsi sulle grandi forme di inquinamento [59]. Come possibile compito delle parti interessate la Commissione ritiene che “promuovere e incoraggiare, ove opportuno, il ricorso a misure fiscali, quali imposte e incentivi ambientali, per favorire i prodotti più ecologici” possa risultare un’azione efficace per l’attuazione della politica integrata dei prodotti. Gli ambiti di intervento, potrebbero correlarsi alle prestazioni ambientali dei prodotti o alla più generale e spontanea vocazione [continua ..]
Su quali tributi sia poi possibile intervenire in relazione alle considerazioni che precedono è presto detto. Il D.Lgs. n. 68/2011 ha confermato che il nucleo centrale della fiscalità regionale è rappresentato dall’IRAP, in relazione alla quale il legislatore statale ha attribuito alle regioni prerogative specifiche. L’art. 5, D.Lgs. n. 68/2011, facendo venir meno l’interesse anche una norma anticipatoria [81], rispetto alla quale, in ogni caso, si differenzia in termini di perimetro applicativo, prevede infatti che tutte le regioni a statuto ordinario possono ridurre fino ad azzerare le aliquote IRAP non solo in relazione alle nuove iniziative produttive [82]. La menzionata disposizione, allineandosi alle indicazioni di Corte di Giustizia con riguardo all’esercizio di prerogative da parte di articolazioni territoriali dello Stato, allo scopo di soddisfare il requisito dell’autonomia finanziaria dell’ente sub-statale, dispone che gli effetti finanziari derivanti dall’introduzione della misura debbano rimanere ad esclusivo carico del bilancio regionale e, conseguentemente, il minor gettito non sarà compensato da alcun trasferimento statale. Come previsto dall’art. 11 dello stesso decreto la regione beneficia viceversa di compensazione – a parità di funzioni amministrative conferite – qualora sia lo Stato ad intervenire su base imponibile e aliquote. Alcune Regioni si sono già avvalse delle prerogative riconosciute dall’art. 5 menzionato per adottare “indirettamente” misure di carattere ambientale. La Regione Toscana, ad esempio, ha previsto alcune facilitazioni per supportare l’adozione della registrazione EMAS, anche tra le piccole e medie imprese. Con l’art. 12, L.R. 24 dicembre 2013, n. 79 è stato infatti riconosciuto un credito di imposta IRAP per le micro e piccole imprese che realizzano un sistema di gestione integrato ed ottengono almeno due certificazioni riconosciute da standard internazionali tra cui l’EMAS [83]. Con l’art. 4 delle stessa legge [84] la Regione Toscana ha inoltre previsto una riduzione dell’aliquota di pari a 0,60 punti percentuali per i soggetti economici (società ed enti soggetti a IRES, società di persone e imprese individuali) anche di grandi dimensioni [85] che abbiano ottenuto o rinnovato la registrazione EMAS della propria [continua ..]
Si deve in ultimo notare che nell’ambito del sistema tributario regionale esistono già forme di prelievo connotate in senso ambientale, per base imponibile, per induzione a comportamenti eco-compatibili o per destinazione di gettito. Presentano ad esempio queste caratteristiche: la tassa automobilistica; l’imposta regionale sulla benzina da autotrazione (Irba); il tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi (già esaminato nelle pagine precedenti); l’addizionale sui canoni di utenza delle acque pubbliche; l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (Iresa) [93], oltre ad alcuni tributi paracommutativi quali le imposte regionali sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile, la tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche regionali [94]. Si è osservato in proposito che l’effetto disincentivante e di tutela rispetto alle tematiche ambientali coinvolte con riferimento alle tasse di concessione potrebbe essere accentuato attraverso la modulazione delle basi imponibili e dell’aliquota. Tali tributi posseggono infatti sia la natura para-commutativa di pagamenti collegati ai benefici ottenuti dalle attività autorizzate (ad esempio le attività di caccia e pesca), sia quella di strumento regolatorio che può limitare e governare il numero di persone che svolgono le medesime attività. Analoghe considerazioni possono valere per le tasse di occupazione e le tasse di concessione dei beni a cui è possibile attribuire la duplice natura di contributi para-commutativi, attraverso cui si paga per l’utilizzo dello spazio e del territorio e dei beni pubblici (diritto d’uso e compensazione); e di strumenti che possono disincentivare o regolamentare gli utilizzi dello spazio o dei beni stessi (logica pigouviana) e governare attività che possono avere impatti sul paesaggio e l’ambiente [95]. Un ulteriore strumento per il perseguimento di finalità ambientali a disposizione delle Regioni potrebbe essere rappresentato dall’imposizione di scopo. Il gettito di tali tributi laddove istituiti potrebbe essere destinato alla realizzazione di opere di tutela e risanamento ambientale. La regione dovrebbe in questo caso legiferare in base all’art. 38, D.Lgs. n. 68/2011 che consente l’istituzione di tributi propri regionali e locali. Alla creazione di nuovi [continua ..]