Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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La natura d'imposta d'atto del tributo di registro come limite alla valorizzazione di elementi esterni e di collegamenti negoziali (di Alessandra Kostner)


La natura d’imposta d’atto del tributo di registro impedisce, ai fini della tassazione, la valorizzazione ai sensi dell’art. 20 del TUR – per come modificato ed interpretato dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 158/2020 – di elementi ed effetti empirici e/o economici, diversi da quelli giuridici emergenti dall’atto/documento.

The nature of “deed levy” of the registration tax as a limit to the enhancement of external elements and contractual links

The nature of “deed levy” of the registration tax prevents, for the purposes of taxation, the enhancement under Art. 20 of the Registration Tax Consolidated Act – as amended and interpreted by the Constitutional Court with judgement no. 158/2020 – of empirical and/or economic elements and effects, different from the legal ones emerging from the act/document.

SOMMARIO:

1. L’irrilevanza degli elementi extra-testuali e dei collegamenti negoziali: la sentenza della Corte cost. 11 luglio 2020, n. 158 - 2. La necessaria valorizzazione del principio della riserva di legge e della natura di imposta d’atto del tributo di registro nella sua ricostruzione storica - 3. L’art. 20 del TUR nel quadro dell’obsolescenza del tributo di registro e del rapporto con l’art. 10 bis dello Statuto dei Diritti del contribuente - NOTE


1. L’irrilevanza degli elementi extra-testuali e dei collegamenti negoziali: la sentenza della Corte cost. 11 luglio 2020, n. 158

La sezione tributaria della Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 23549/2019 [1], ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 [2] (d’ora in poi, per brevità, TUR) nella parte in cui, nell’odierno impianto normativo [3], prevede che il tributo di registro debba essere applicato “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. Ciò in quanto, ad avviso della Corte rimettente, la formulazione della norma – che non consente di poter adoperare il metodo dell’interpretazione costituzionalmente orientata [4] – contrasterebbe con gli artt. 53 e 3 Cost., dal momento che la mancata valorizzazione del collegamento negoziale [5], sotto il profilo dell’effettività dell’imposizione, giungerebbe a non considerare una (possibile e tipica) manifestazione di capacità contributiva (non valutando il reale movimento di ricchezza [6]). E, sotto il profilo del principio di eguaglianza e ragionevolezza, riserverebbe trattamenti fiscali differenziati a seconda delle scelte negoziali, legittimamente effettuate dalle parti [7] nel rispetto dell’art. 41 Cost. [8]. A prescindere dal minore o maggiore carico fiscale derivante al contribuente dall’esenzione del collegamento negoziale. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 158 dell’11 luglio 2020 [9],  nel dichiarare infondate le questioni prospettate, ha in via preliminare sottolineato la coerenza interna della norma censurata con la natura d’imposta d’atto del tributo di registro (di cui si parlerà nel prosieguo) e con i principi ispiratori della disciplina prevista dal TUR [10]. Per poi affermare la chiarezza normativa dell’art. 20 che, nella sua attuale formulazione e per come modificata, prevede la possibilità di prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti all’atto [11] e dalla forma apparente [12], garantendo “la tassazione isolata del negozio veicolato [continua ..]


2. La necessaria valorizzazione del principio della riserva di legge e della natura di imposta d’atto del tributo di registro nella sua ricostruzione storica

La pronuncia della Corte costituzionale appare condivisibile perché consente di restituire la dovuta dignità, talvolta sacrificata in relazione alla norma sostanziale censurata, al principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. [46]. È innegabile, infatti, come la Cassazione – attribuendo all’art. 20 del TUR una funzione atipica [47] – si sia spinta sino a creare nuovi, e non tipizzati, presupposti d’imposta e/o a sostituire fattispecie imponibili sulla base di elementi acquisiti in contesti esterni rispetto all’atto da registrare. Ciò, secondo parte della dottrina [48], a tal punto da aver dato vita ad un vero e proprio sforzo di decodificazione, senza considerare compiutamente la ratio della norma – consistente nella volontà del legislatore di tassare i soli effetti giuridici e giammai l’operazione economica – che non può che assumere un rango elevato nel processo interpretativo [49]. Ne deriva una doppia considerazione. A maggior ragione a seguito del rigetto della pronuncia dei Giudici costituzionali, la Cassazione dovrebbe abbandonare [50] l’“interpretazione impositiva [51]”, cui ha dato impulso e seguito nel corso degli anni. Non solo: fermo restando l’unico limite rappresentato dall’avvenuta definizione del rapporto, gli atti impositivi, in relazione ai quali il recupero dell’imposta è stato basato sulla valorizzazione di elementi estranei all’atto, poiché illegittimi [52], dovrebbero essere annullati in autotutela dall’Amministrazio­ne Finanziaria [53], che dovrebbe anche occuparsi della restituzione delle somme già incassate a titolo di riscossione frazionata ex art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992. L’art. 20, per come modificato, inoltre, potrebbe anche essere invocato nei giudizi in corso [54], compresi quelli di rinvio [55] e di impugnazione. Ciò, per quel che concerne il primo grado, anche nell’ipotesi in cui il contribuente, nel proprio atto introduttivo, non abbia inserito un motivo specifico d’impugnazione (essendo la modifica della norma intervenuta successivamente alla notifica del ricorso). La pronuncia dei Giudici della Consulta sembra, infatti, aver confermato il tenore dell’attuale art. 20, le cui modifiche sono state ritenute, per [continua ..]


3. L’art. 20 del TUR nel quadro dell’obsolescenza del tributo di registro e del rapporto con l’art. 10 bis dello Statuto dei Diritti del contribuente

La sentenza in commento appare interessante perché permette di soffermarsi, al di là della già affermata condivisibilità, su quanto, come acutamente osservato [81], il tributo di registro presenti, al suo interno, una marcata obsolescenza [82]. Difatti, vero è – lo si ribadisce – che lo stesso è stato ideato ed è sorto, in tempi oramai risalenti, come imposta d’atto, in cui “il collegamento negoziale è stato ignorato dal legislatore storico del tributo [83]” (e si ritiene anche da quello attuale). Ma è altrettanto vero che le esigenze e le forme negoziali sono, a poco a poco, mutate, mentre la struttura del tributo è rimasta pressoché invariata. Con la conseguenza che, nonostante la centralità della funzione sempre di più svolta [84], l’imposta di registro talvolta non appare in linea rispetto all’e­voluzione dell’ordinamento ed, in particolare, ai suoi compiti [85]. Peraltro, sul punto, assume una non trascurabile rilevanza l’introduzione dell’art. 53 bis [86] all’interno del Testo Unico dell’imposta di registro, a norma del quale, fermo restando quanto stabilito dall’art. 10 bis della L. n. 212/2000 in materia di abuso del diritto, l’Agenzia delle Entrate può esercitare poteri invasivi di controllo tesi ad individuare, nel corso di un’ordinaria fase istruttoria, eventuali prove di effetti giuridici esterni comunque riconducibili all’atto sottoposto a registrazione. La norma da ultimo richiamata – probabilmente sinora poco valorizzata – si propone di creare omogeneità nei meccanismi impositivi relativi alle varie imposte per poter superare quella che è stata felicemente definita un’“inevi­tabile imperfezione dei metodi che reca non piccole diseguaglianze [87]”. Essa mostra, altresì, una portata dirompente, poiché la sua operatività non è limitata, almeno secondo un’interpretazione letterale del dettato normativo, a specifiche fattispecie imponibili [88] e sembra creare profili di contraddittorietà al­l’interno della normativa in tema di tributo di registro. Difatti, in applicazione del TUR, per un verso la tassazione dell’atto deve avvenire solo sulla base del proprio tenore [continua ..]


NOTE