Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Potere regolamentare del comune, “nuova” imu e aree fabbricabili (di Giovanni Girelli)


La Legge di Bilancio 2020, nel prevedere un’articolata revisione della disciplina dell’IMU, reintroduce la disposizione sulla potestà regolamentare secondo cui i Comuni possono deliberare valori di riferimento per le aree fabbricabili e limitare il loro potere di accertamento qualora l’imposta sia versata in base ai valori deliberati. La norma merita adeguata valorizzazione interpretativa in modo da assicurarne la più estesa efficacia atteso che l’intento del legislatore è di ottenere un più fluido gettito del tributo comunale.

Regulatory power of the municipality, “new” municipal property tax and building areas

The 2020 Budget Law, while providing for a detailed revision of the Municipal Property Tax, reintroduces the provision on regulatory power according to which Municipalities may approve reference values for building areas and restrict their own power of assessment in case the tax is paid according to the determined values. Such legal provision deserves an adequate interpretative enhancement in order to ensure its most extensive effectiveness, given that the intention of the lawmaker is to obtain a more continuous revenue from the Municipal Property Tax.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’autonomia dei Comuni in materia tributaria - 3. La potestà regolamentare dei Comuni in materia di IMU - 4. Aree fabbricabili e potere regolamentare IMU - 5. La valenza probatoria della determinazione del valore delle aree edificabili operata dal Comune o dal concessionario - NOTE


1. Premessa

La L. 27 dicembre 2019, n. 160 (c.d. Legge di Bilancio 2020) prevede una articolata revisione della disciplina dell’IMU rispetto al modello vigente sino al 31 dicembre 2019. Per quanto qui di interesse giova evidenziare che l’art. 1, comma 777, della appena citata Legge reintroduce il contenuto della disposizione di cui all’art. 59, comma 1, lett. g), D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 pre­visto per l’ICI, ma che non era stata riproposto dal legislatore in sede di istituzione dell’IMU. Viene, dunque, specificamente riattribuita la potestà regolamentare secondo cui i Comuni possono deliberare valori di riferimento per le aree fabbricabili e limitare il loro potere di accertamento qualora l’imposta sia versata considerando i valori deliberati, e ciò con l’intento di assicurare un più fluido gettito del tributo comunale e, quindi, anche di ridurre il contenzioso. L’intervento legislativo risveglia, dunque, l’interesse per l’esposta potestà regolamentare dei Comuni in materia di IMU.


2. L’autonomia dei Comuni in materia tributaria

In tema di poteri attribuiti agli enti locali, senza risalire troppo indietro nel tempo, un ruolo di sicuro rilievo ha rivestito la L. 13 giugno 1990, n. 142, con cui il legislatore, nel definire i principi generali dell’ordinamento dei Comuni, aveva attribuito a questi ultimi un’autonomia finanziaria che risultava legata ad una potestà impositiva dotata anch’essa di margini di autonomia [1]. Tale intervento normativo, delineando un sistema finanziario composito – nel quale co­esisteva il modello dei trasferimenti statali ed il modello fondato sui tributi propri dei Comuni – aveva elevato l’autonomia normativa a condicio sine qua non per l’autonomia finanziaria degli enti locali. Era prevista, quindi, una dicotomia fra entrate tributarie dei Comuni e trasferimenti statali. Mentre questi ultimi avevano lo scopo di garantire i servizi locali indispensabili, viceversa, le entrate fiscali dei Comuni erano volte a finanziare i servizi locali ritenuti utili per lo sviluppo della comunità locale [2]. Successivamente, in attuazione della delega conferita dalla citata L. n. 142/1990, veniva emanato, tra gli altri, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, con cui fu istituita l’ICI e, quindi, un’imposta immobiliare di natura patrimoniale [3]. Detto decreto, tuttavia, non aveva attribuito ai Comuni un’ampia potestà regolamentare, limitandosi a consentire a questi ultimi di fissare l’aliquo­ta tra un minimo del 4 ed un massimo del 6 per mille che poteva essere elevato, in presenza di straordinarie esigenze di bilancio, al 7 per mille [4]. La giurisprudenza amministrativa, peraltro, che era stata chiamata ad accertare nel merito la sussistenza delle specifiche ragioni finanziarie idonee a legittimare il Comune a fissare aliquote superiori a quella minima, era stata sin troppo rigorosa, imponendo all’ente locale territoriale un obbligo motivazionale eccessiva­mente stringente [5]. In merito a tale potere, poi, si era pronunciata anche la Corte costituzionale, la quale aveva condivisibilmente affermato la legittimità della previsione che attribuiva alla Giunta comunale – e non al Consiglio – la competenza ad adottare la delibera di determinazione dell’aliquota dell’ICI [6]. Se con l’intervento operato dal legislatore nel 1996 il potere del Comune ve­niva “esteso” in subiecta [continua ..]


3. La potestà regolamentare dei Comuni in materia di IMU

La potestà normativa regolamentare dei Comuni in materia di imposizione patrimoniale sugli immobili è stata oggetto, nel corso degli anni, di diversi interventi normativi. Per quanto concerne, in particolare, l’allora vigente ICI, poi sostituita dal­l’IMU, si è detto che la vera svolta, in senso autonomista, si è avuta con il D.Lgs. n. 446/1997 che ha accentuato la potestà impositiva dei Comuni tramite il riconoscimento di una limitata autonomia in sede di determinazione della base imponibile e della fattispecie impositiva (con particolare riguardo alle esenzioni ed agevolazioni) dei tributi locali principali. Il citato decreto, invece, aveva previsto una significativa autonomia normativa degli enti locali per quanto con­cerne l’accertamento e la riscossione. A tale riguardo, l’art. 52 riconosce una vasta area di competenza dei Comuni proprio in riferimento alla individuazione ed alla attuazione dei tributi locali [18]. Tale norma prevede, difatti, che i Comuni possano disciplinare con regolamento la materia dei tributi locali, ad eccezione della individuazione dei soggetti passivi, della base imponibile e della aliquota massima che, in virtù della riserva di legge, restano di competenza dello Stato. Inoltre, il comma 5 del citato art. 52 prevede la possibilità di coinvolgere soggetti diversi dall’Amministrazione comunale nella fase di accertamento e di riscossione: è, difatti, attribuita all’ente locale la facoltà di procedere all’affi­damento a terzi delle procedure di attuazione dei tributi, purché vengano rispettate le regole ivi stabilite volte ad indicare i principi generali dei modelli di gestione e di organizzazione della fase di attuazione dei tributi locali. Ed invero, la norma appena citata prevede, accanto al modello tipico di gestione diretta dell’accertamento e riscossione, eventualmente svolta in forma associata tra più Comuni o Province, ulteriori modalità di coinvolgimento di soggetti terzi nelle attività di liquidazione, riscossione ed accertamento. L’art. 52, comma 5, lett. b), stabilisce che l’affidamento a terzi possa essere effettuato a favore di aziende speciali, di società “miste” per azioni o a responsabilità limitata a capitale interamente pubblico, ovvero ai soggetti iscritti all’albo dei concessionari di servizi fiscali [continua ..]


4. Aree fabbricabili e potere regolamentare IMU

Com’è noto, tra i profili più controversi in materia di IMU vi è quello della corretta determinazione della base imponibile delle aree fabbricabili [27]. A nor­ma, difatti, dell’art. 1, comma 746, L. n. 160/2019 il valore dei terreni edificabili deve essere determinato facendo riferimento ai valori venali in comune commercio che, proprio perché aventi un inevitabile carattere di indeterminatezza, impongono una valutazione degli immobili spesso troppo influenzata da eccessivi margini di discrezionalità [28]. Proprio al fine di ridurre il rischio di contenzioso in relazione a tale profilo, il legislatore ha (re)introdotto la disposizione secondo cui è espressamente consentito ai Comuni di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree edificabili aventi lo scopo di fissare, quindi, riferimenti univoci e precisi in questo ambito. L’effetto prodotto dalla fissazione di tali valori è quello di autolimitare il potere di accertamento IMU del Comune, nel senso che quest’ultimo si obbliga a ritenere con­gruo il valore delle aree fabbricabili dichiarato dal contribuente qualora lo stesso non sia inferiore a quello stabilito nel regolamento comunale. In altri termini, pur rimanendo ferma la regola sancita dall’art. 1, comma 746, L. n. 160/2019 secondo la quale il valore delle aree edificabili è quello venale in comune commercio, nelle ipotesi in cui il Comune esercitasse il potere regolamentare di cui al successivo comma 777, il contribuente avrebbe due possibilità: dichiarare un valore pari o superiore a quello stabilito nel regolamento, mettendosi al riparo da accertamenti da parte del Comune [29], oppure dichiarare un valore inferiore a quello stabilito dal regolamento. In tale ultima ipotesi, il Comune potrebbe considerare comunque congruo il valore dichiarato dal contribuente o, viceversa, non ritenerlo conforme rispetto al valore di mercato, procedendo ad accertare un maggior valore dell’area fabbricabile che, peraltro, può essere determinato anche prescindendo dal valore fissato nel regolamento, essendo venuto meno l’effetto auto limitativo del potere accertativo. Ebbene, a questo punto è doveroso domandarsi se questo potere di determinare il valore di tali aree sia da ascriversi al solo Comune, oppure que­st’ultimo possa legittimamente riservare, a mezzo del [continua ..]


5. La valenza probatoria della determinazione del valore delle aree edificabili operata dal Comune o dal concessionario

I Comuni, per garantire piena efficacia alla normativa recentemente introdotta dovranno, inoltre, confrontarsi con l’ormai decisamente maggioritario e già citato orientamento giurisprudenziale, secondo cui i valori delle aree fabbricabili determinati dal Comune non avrebbero natura imperativa, bensì pre­suntiva, atteggiandosi come mera fonte di presunzioni hominis che vengono dedotte da dati di comune esperienza [44]. Secondo tale orientamento, difatti, le elaborazioni e le valutazioni delle aree fabbricabili effettuate dai Comuni costituiscono supporti razionali che vengono proposti dall’Amministrazione co­munale come parametri di riferimento e che sono paragonabili ai bollettini di quotazione di mercato, ai notiziari Istat – ove è, appunto, possibile reperire dati medi che vengono determinati presuntivamente [45]. Quindi il Comune, venuto a conoscenza di elementi specifici riferibili all’area fabbricabile oggetto di possibile accertamento, può disattendere i valori predeterminati seppure il privato abbia dichiarato e pagato il tributo nella misura almeno pari a quella fissata dal Comune. Ebbene, tale approccio appare contrario all’intenzione del legislatore di voler semplificare i rapporti tra contribuente ed ente impositore comunale circa il tributo patrimoniale sugli immobili. Da un lato la norma, difatti, pare voler assicurare un flusso di gettito ritenuto congruo dallo stesso Comune. Que­st’ultimo, invero, determinando il valore delle aree, sostanzialmente predetermina anche il tributo che incasserà senza dover ricorrere a particolari ulteriori attività accertative. Dall’altro lato, allo stesso modo, il contribuente valuta serenamente la determinazione comunale che se ritenuta accettabile, anche ponderando il beneficio di non poter subire un accertamento di valori, viene recepita ai fini del versamento dell’imposta. Dunque, seguendo la lettura della norma primaria qui suggerita, la “determina” va considerata quale centrale punto di riferimento sia per il Comune, sia per il privato. In buona sostanza se di limitazione ai poteri di accertamento trattasi, il Co­mune dovrà seriamente autolimitarsi e non potrà procedere ad accertamento adducendo particolari specificità della singola area di cui è proprietario il contribuente, per venire a imporre un valore superiore a quello della [continua ..]


NOTE