Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Note in tema di “società schermo” * (di Davide Stefani)


La figura della “società schermo” è una costruzione artificiosa finalizzata ad eludere la normativa degli Stati membri; la sua funzione, infatti, non è quella di raggiungere un risultato sostanzialmente economico ma, piuttosto, un vantaggio fiscale ottenuto tramite un raggiro della ratio della norma tributaria. Tale fenomeno elusivo trova collocazione nell’ambito delle strategie di “pianificazione fiscale aggressiva”, adottate dagli obbligati d’imposta per abbattere l’imponibile, sfruttando le peculiarità esistenti tra i regimi fiscali. La figura della “società schermo” è una forma di abuso del diritto, rilevante sia ai fini civilistici, come risultato dell’esercizio di un diritto oltre il limite “funzionale” implicitamente previsto dalla singola norma, sia a fini tributari, quale strumento asservito al raggiungimento di un mero beneficio fiscale indebito. Il presente lavoro, quindi, focalizza l’indagine sulla natura della “società schermo”, individuandone i presupposti oggettivi e soggettivi, oltre gli elementi sintomatici idonei a rivelare l’esistenza del fenomeno abusivo. A tal fine, affrontando brevemente anche le conseguenze giuridiche nei casi di inesatta qualificazione della fattispecie abusiva, si valuta se il campo di applicazione dell’abuso in presenza di una “società schermo”, anche alla luce della Direttiva 2016/1164/UE (c.d. «ATAD 1») e dell’interpretazione giurisprudenziale delle sentenze “danesi”, possa aver assunto un ulteriore e più esteso significato: non solo «costruzione di puro artifizio», ma anche «non genuina».

Remarks on “shell companies”

The figure of “shell company” indicates an artificial arrangement aimed at avoiding Member States’ laws; its function, indeed, does not involve achieving an economic gain, but a tax advantage obtained through a circumvention of the tax rule’s rationale.

This avoidance phenomenon is expression of “aggressive tax planning” strategies adopted by taxpayers to reduce their tax liability, exploiting the peculiarities existing between the tax systems. The figure of the “shell company” is a form of abuse of law, relevant both for civil law purposes, as a result of the exercise of a right beyond the “functional” limit implicitly envisaged by its discipline, and for tax law purposes, as a tool enslaved to the achievement of a mere undue tax benefit. This paper, therefore, focuses the research on the nature of the “shell company”, identifying its objective and subjective requirements, as well as the symptomatic elements suitable for revealing the existence of the avoidance phenomenon. To this purpose, also briefly addressing the legal consequences in case of incorrect qualification of the abusive transaction, the Author assesses whether the scope of abuse in presence of a “shell company”, also in light of Directive no. 2016/1164/EU (so-called ATAD 1) and the case law emerging from the “Danish” cases, may have reached a further and more extensive meaning: not only “wholly artificial arrangement”, but also “non-genuine”.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La “società schermo” e l’abuso della personalità giuridica - 3. La società-schermo da costruzione di “puro artificio” a costruzione “non genuina” - 3.1. Beneficiario effettivo ed entità giuridica interposta - 3.2. Svolgimento della “prevalente” attività economica in uno Stato diverso dalla fonte - 3.3. L’elemento temporale - 3.4. L’assenza di «valide ragioni economiche» - 4. L’accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi in assenza di meccanismi presuntivi - 5. Natura abusiva delle “società schermo” e profili (non) penalistici - 6. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La “società schermo”, oggetto di indagine in questo lavoro, è una figura giuridica non disciplinata da norme specifiche sul piano legislativo, che viene in evidenza nell’ambito del contrasto ai fenomeni elusivi. Tale fenomeno si è sviluppato in un’economia fortemente globalizzata (c.d. “nuova economia”), in cui l’apertura delle frontiere nazionali del commercio, la limitazione della sovranità statale impositiva e le peculiari caratteristiche delle singole norme dell’ordinamento tributario potrebbero essere assunte tra le cause generatrici e di proliferazione dello stesso. È noto che, nelle complessità societarie, alle business judgement rules si affiancano anche le decisioni inerenti alle strategie finalizzate all’abbattimento dell’imponibile fiscale. Tra queste scelte rientra la “pianificazione fiscale aggressiva”, che viene attuata attraverso lo sfruttamento, da parte di gruppi di società e, più in generale, da società commerciali, ma anche da persone fisiche, degli aspetti peculiari delle normative fiscali nazionali, internazionali e convenzionali vigenti, nonché dei disallineamenti esistenti tra i vari Paesi [1]. Tali obiettivi vengono conseguiti, di regola, avvalendosi di strumenti considerati elusivi, finalizzati all’ottenimento di un indebito risparmio fiscale, realizzato cioè in contrasto «con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario» nazionali ed internazionali (art. 10 bis, comma 2, lett. b), L. n. 212/2000). Tra questi strumenti rientrano anche le costruzioni artificiose ideate, non raramente, con la costituzione di una “società schermo”. La “società schermo”, in tal contesto, costituisce il mezzo attraverso il quale il contribuente ottiene un beneficio fiscale indebito, senza ricorrere ad espedienti evasivi e senza violare la normativa fiscale; ma, più semplicemente, sfruttando a proprio vantaggio, mediante un’oculata “manipolazione”, gli istituti giuridici predisposti dal legislatore. Tale comportamento è considerato abusivo in quanto la condotta posta in essere, seppur lecita sul piano formale, conduce ad un risultato originariamente non contemplato dal legislatore e, cioè, contrario alla ratio della norma fiscale. Il fine, infatti, non [continua ..]


2. La “società schermo” e l’abuso della personalità giuridica

Come osservato in dottrina, l’elusione fiscale è attuata mediante l’utilizzo anomalo della disciplina privatistica; in tale contesto, infatti, il modulo societario diviene il mezzo-fine per raggiungere un risultato che, in realtà, non è contemplato dalla ratio della norma [8]. Si tratta, in sostanza, di una forma di esercizio di un diritto oltre il limite “funzionale” implicitamente previsto dalla singola norma; modalità che integra una forma di abuso del diritto [9], principio tuttora inespresso ed immanente nell’ordinamento civilistico, desumibile dal connubio di diverse norme con un unico comune denominatore: «Nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto medesimo gli è conferito» [10]. In tale contesto, lo schema societario è il prius logico e necessario che consente all’obbligato d’imposta di ottenere l’indebito risparmio fiscale: infatti, è grazie all’asservimento dello strumento societario all’esclusivo motivo fiscale che il contribuente raggiunge un vantaggio in realtà non dovuto. Si ha sviamento della funzione e, pertanto, abuso, qualora l’adozione di un determinato schema formale (come il contratto di società), mutuando l’e­spressione di autorevole dottrina, dia vita ad una «alterità soggettiva […] che una società ha creato per frazionare un’entità soggettivamente e sostanzialmente unitaria» [11]; si crea, cioè, uno squarcio tra la forma e la sostanza del­l’istituto giuridico. Si pensi all’utilizzo di uno schermo societario interposto tra la società erogante e quella destinataria di un determinato provento, senza che la sua attività rilevi sul piano economico, se non per “canalizzare” il profitto conseguito ed abbattere l’imponibilità fiscale. Non vi è, in sostanza, difformità tra il “voluto” e il “dichiarato”, poiché i paciscenti non occultano o mascherano il negozio giuridico sottostante, il quale – in effetti – è posto in essere in funzione del perseguimento dei rispettivi interessi. Così inteso, allora, l’abuso deve essere tenuto distinto dagli opposti e diversi istituti della simulazione e dell’interposizione fittizia [12]. In [continua ..]


3. La società-schermo da costruzione di “puro artificio” a costruzione “non genuina”

Come già affermato nella premessa di questo lavoro, la società-schermo è considerata costruzione artificiosa finalizzata ad eludere la normativa fiscale [26]. Tale artifizio attribuisce all’operazione giuridica natura elusiva/abusiva, posta in essere non per ragioni economico-sostanziali, ma per beneficiare, contrariamente alla ratio della norma tributaria, di vantaggi fiscali originariamente non dovuti [27]. Si pensi alle strategie fiscali adottate dai gruppi di società multinazionali, tese a dar vita a complesse operazioni “a cascata”, “triangolari”, od ogni altra articolata architettura giuridica, inserendo entità interposte tra società erogatrici di un provento e società beneficiarie dello stesso, assoggettate interamente al mero arbitrio della capogruppo o ad altra società direttamente o indirettamente controllata, senza alcuno spazio di autonomia e di autodeterminazione [28]. Com’è noto, le strategie societarie volte a dislocare oltre i confini nazionali la catena produttiva non sono vietate, né dal legislatore nazionale [29], né dai Trattati istitutivi dell’Unione Europea [30]. In linea generale, infatti, i contribuenti possono sfruttare le disparità di trattamento tra i vari regimi fiscali, sia traendo legalmente i benefici da esso derivanti, sia – in ottica di delocalizzazione delle attività produttive, di riorganizzazione aziendale e non solo [31] – scegliendo in modo opportuno l’ubicazione più conveniente per la propria attività economica, coincidente anche con quella fiscalmente meno onerosa [32]. Tale libertà, tuttavia, non può dirsi incondizionata. Nel noto leading case “Cadbury Schweppes” [33], infatti, la giurisprudenza europea ha individuato un limite, dato dalla creazione di una «costituzione di puro artificio», superato il quale l’architettura giuridica posta in essere è considerata abusiva [34]. Se da una parte, l’assenza di abuso osta all’applicazione di una normativa nazionale restrittiva della libertà di stabilimento, dall’altra, l’ac­certamento di un abuso legittima la disapplicazione dei vantaggi fiscali indebitamente ottenuti [35]. Pertanto, come stabilito ormai dalla consolidata giurisprudenza sovranazionale [36] e [continua ..]


3.1. Beneficiario effettivo ed entità giuridica interposta

Un secondo elemento circa l’esistenza di una costruzione artificiosa può essere individuato anche sulla base della circostanza che un’entità giuridica non sia la beneficiaria effettiva di un provento conseguito [52]. In particolare, nell’ambito delle strategie fiscali di gruppo, la società-scher­mo può essere strumentalizzata quale entità interposta, “reale”, non beneficiaria effettiva di un determinato provento (dividendo, interesse, canone), insediata in un Paese concedente determinati benefici fiscali, frapposta tra una società erogatrice e la destinataria non effettiva. In tal contesto, essa assolverebbe la funzione di retrocedere, anche entro un breve lasso di tempo, il provento al beneficial owner [53]. Com’è noto, la nozione convenzionale di “beneficiario effettivo” [54] funge da clausola anti-abuso, idonea a disapplicare i benefici fiscali derivanti da elusione o frode nell’applicazione della normativa fiscale[55]; essa è volta a disincentivare e, al tempo stesso, paralizzare i fenomeni abusivi attuati sfruttando i benefici concessi dallo sfruttamento delle Convenzioni contro le doppie imposizioni; non raramente, infatti, questi ultimi sono ottenuti attraverso l’insedia­mento di una persona giuridica interposta, reale, tra il soggetto percipiente di interessi, dividendi o royalties a tassazione esente o ridotta, e il beneficiario effettivo degli stessi, talvolta con sede in un Paese extra-Ue [56]. Infatti, in linea generale, il fatto che il percettore dei dividendi sia considerato beneficiario effettivo non significa che i benefici della Convenzione siano garantiti in modo automatico; anzi, il limite è individuato proprio nell’abuso del diritto, allorché si utilizzi lo schema di una conduit company. Ancorché il requisito del beneficiario effettivo non sia espressamente menzionato quale indizio idoneo a provare l’esistenza di una costruzione artificiosa [57], la Corte di Giustizia parrebbe includere la clausola in esame tra gli strumenti di contrasto a pratiche elusive, qualora si accerti – nell’ambito dell’inda­gine circa l’esistenza di profili abusivi – la presenza di un’entità interposta non beneficiaria effettiva [58]. L’esistenza di una entità conduit tra due società al fine di ottenere un [continua ..]


3.2. Svolgimento della “prevalente” attività economica in uno Stato diverso dalla fonte

Un ulteriore elemento sintomatico, sempre di natura oggettiva, potrebbe essere individuato nell’esercizio della prevalente attività economica in uno Stato diverso da quello di residenza. In particolare, se dalle risultanze documentali e fattuali risulta verosimile che l’attività principale dell’impresa delocalizzata sia svolta, non entro i confini dello Stato in cui risiede formalmente, bensì in un Paese terzo, la costituzione della società potrebbe essere intesa quale indice di abusività della fattispecie [62]. Invero, il fatto di poter stabilire una propria società controllata in un diverso Stato membro implica, anche, l’esercizio della propria attività economica prevalente nello Stato ove l’impresa risiede. Occorre, dunque, un vero e proprio radicamento all’interno dello Stato di insediamento [63]. Si dovranno allora valorizzare, ad esempio, elementi fattuali quali l’impie­go di manodopera locale, il ricorso a rapporti di collaborazione con soggetti ivi residenti, richiesta di finanziamenti presso istituti di credito locali, nonché la generazione di un profitto rilevante ed imponibile nello Stato della fonte. In tale contesto, l’assenza di elementi cross-border, nonostante l’effettiva dislocazione territoriale del gruppo societario, potrebbe suggerire una lettura abusiva della fattispecie. Infatti, lo svolgimento di un’attività economica prevalente nel territorio dello Stato diverso sarebbe contrario all’art. 54, comma 1, TFUE, il cui scopo è quello di prevedere – quale equo “corrispettivo” – la contribuzione al gettito fiscale dello Stato di insediamento.


3.3. L’elemento temporale

Anche le coincidenze temporali possono assumere rilevanza nell’indagine volta all’accertamento dell’esistenza di una “società schermo”. Le già menzionate sentenze “danesi”, in particolare, individuano una coincidenza temporale nel trasferimento del provento da un’entità all’altra entro un lasso di tempo, anche molto breve, rispetto a quello della percezione dello stesso (seguendo lo schema trilaterale società erogatrice – conduit – beneficiario effettivo). Ma si pensi anche allo scarto temporale tra la costituzione di una persona giuridica in uno Stato firmatario di una Convenzione contro le doppie imposizioni e la data di stipula della medesima convenzione; ovvero, ancóra, alla data di costituzione delle singole società controllate facenti parte del gruppo, in periodo “sospetto”, e la collocazione di esse in uno Stato contraente in regime partecipation exemption [64]. In questi casi, la vicinanza al presupposto legittimante la concessione del beneficio fiscale lascerebbe spazio a dubbi circa la non genuinità dell’opera­zione. Pertanto, affianco agli elementi fattuali precedentemente indicati, nell’ac­certamento circa l’esistenza di una “società schermo”, è possibile ricorrere ad ulteriori indizi avvalorati da «coincidenze e contiguità temporali» [65].


3.4. L’assenza di «valide ragioni economiche»

A questi elementi di natura oggettiva si aggiunge, poi, un secondo presupposto, di ordine soggettivo, volto ad accertare, a seconda delle fattispecie, l’i­nesistenza di «valide ragioni economiche» a supporto della strategia societaria di delocalizzazione [66]. Occorre infatti analizzare l’elemento soggettivo, ovverosia il “movente” che ha giustificato l’adozione di una strategia volta alla delocalizzazione della propria attività imprenditoriale (c.d. «motive test»); verifica che consiste nell’esa­me delle ragioni economiche che hanno indotto l’obbligato d’imposta a trasferire, totalmente o parzialmente, l’attività d’impresa all’estero, attraverso la costituzione di uno o più complessi societari in altri Paesi [67]. Si precisa però che la presenza di tale elemento non vale, per ciò solo, a costituire abuso della libertà di stabilimento, poiché accanto a tale motivo di carattere esclusivamente fiscale si deve accompagnare un beneficio fiscale ingiusto: la predisposizione di una costruzione artificiosa che non rispecchia un’og­gettiva realtà economica. Infatti, se è vero che il contrasto all’elusione fiscale può costituire motivo di interesse generale, in un giudizio di bilanciamento tra opposti interessi, è anche vero che la giurisprudenza sovranazionale ha ritenuto non giustificata la limitazione della libertà di stabilimento, ritenuta prevalente ai fini della creazione e mantenimento di un mercato unico europeo, nei casi in cui un’impre­sa decida di insediarsi in un diverso Stato membro in assenza di comportamenti oggettivamente abusivi.


4. L’accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi in assenza di meccanismi presuntivi

Una volta dimostrata l’esistenza di tali presupposti, in concreto e tenendo in considerazione le peculiarità, la natura e le funzioni delle fattispecie analizzate, sarà possibile qualificare una persona giuridica quale costruzione artificiosa, sia essa di «puro artifizio» o «non genuina». L’indagine concernente tale natura, tuttavia, non è una procedura affatto semplice e spetta al giudice di merito, lontano da meri automatismi, analizzare i presupposti logici, fattuali e giuridici circa la reale operatività e genuinità della persona giuridica, senza disattendere la natura e la funzione assolta dalla società nel globale contesto economico-imprenditoriale. L’esigenza di procedere ad un’indagine in concreto risponde, inoltre, ad un’esigenza di non procedere ad “imputazioni azzardate” [68]. Se, da una parte, il motivo fiscale alla base della costituzione di una società in un Paese a fiscalità privilegiata non è considerato ostativo al godimento dei diritti fondamentali concessi dai Trattati o più in generale dalle convenzioni internazionali, dall’altra, può accadere che tali benefici siano invece compressi ove, alla luce di un più ampio quadro probatorio, l’ottenimento di un vantaggio fiscale assuma aspetti oggettivamente e soggettivamente abusivi. In sintesi, anche alla luce della recente giurisprudenza delle “cause danesi”, la sussistenza di una società schermo parrebbe assumere un significato più am­pio, non limitato all’indagine della singola fattispecie, ma valutato alla luce del­l’intera costruzione giuridica; tale fattispecie abusiva, in sostanza, si potrebbe palesare non solo in presenza di indizi fattuali circa l’assenza fisiologica di personale, uffici ed attrezzature, ma anche in ipotesi di: interposizione di un’en­tità reale tra la società che eroga un determinato provento e la società beneficiaria dello stesso per evitare la tassazione alla fonte; trasferimento del provento entro un breve lasso di tempo ad una società che non potrebbe godere dei vantaggi fiscali («coincidenze e contiguità temporali»); meccanismo di finanziamento circolare tra le società dello stesso gruppo; impossibilità per la società destinataria del provento di utilizzarlo, [continua ..]


5. Natura abusiva delle “società schermo” e profili (non) penalistici

Le problematiche relative all’accertamento della natura abusiva della società-schermo involgono, indirettamente, anche la sfera penalistica e, in particolare, le ipotesi impropriamente qualificate come fattispecie evasive, spesso confuse e sovrapposte alle costruzioni artificiose elusive della normativa fiscale [74]. La questione non è meramente teorica, in quanto dall’esatta o inesatta qualificazione della fattispecie possono discendere rilevanti conseguenze giuridiche. Infatti, l’accertamento di un fenomeno di evasione, com’è noto, esclude automaticamente l’esistenza di un abuso. Del resto, è l’art. 10 bis, comma 12, Statuto del contribuente a statuire che l’abuso del diritto possa configurarsi, in via residuale, qualora i vantaggi fiscali non possano essere disconosciuti, contestando la «violazione di specifiche disposizioni tributarie»; dovendosi intendere, con quest’ultima espressione, quelle condotte sia evasive in senso lato, dipendenti dall’attuazione di una condotta attiva od omissiva, che impediscono la conoscenza o la conoscibilità del fatto imponibile, alterandone anche il contenuto, sia quelle poste in violazione di norme antielusive specifiche, seppur limitatamente ai casi in cui il precetto della norma sia “infranto” e non aggirato [75]. Le operazioni elusive che sfruttano in modo anomalo la ratio della norma fiscale, quindi, non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie [76]. Pertanto, come affermato da autorevole dottrina [77], dalla nozione di abuso devono essere escluse tutte quelle condotte che, costituenti alterazioni della realtà dei fatti (quali simulazione, interposizione [78] e residenza fittizia, esterovestizione), venivano precedentemente ricondotte nel contenitore dell’abuso del diritto evocativamente definito “onnivoro” [79]. Infatti, prima della riforma del 2015, ma in parte anche successivamente [80], in dottrina si è evidenziato come la giurisprudenza tendesse a confondere in maniera impropria i fenomeni evasivi con quelli elusivi e viceversa [81]; con l’inevitabile rischio, in concreto, di essere assoggettati alle misure e ai meccanismi afflittivi propri del diritto penale, ancorché il comportamento assunto dall’obbligato d’imposta non potesse essere qualificato come antigiuridico. La [continua ..]


6. Conclusioni

La società-schermo, dunque, si inserisce nel più ampio contesto della pianificazione fiscale aggressiva, intrapresa in modo particolare dai gruppi di società, allo scopo di aggirare le libertà concesse dai Trattati ed ottenere indebitamente i benefici fiscali da essi concessi. Si tratta di un fenomeno giuridico avente natura elusiva, caratterizzato dalla costruzione di uno o più complessi societari in Paesi a tassazione privilegiata, allo scopo di ottenere un’erosione d’imposta. La natura abusiva della “società schermo”, però, non può ricavarsi automaticamente senza, cioè, alcuna verifica in concreto dell’esistenza di un’attività economico-imprenditoriale reale e genuina: occorre infatti l’accertamento di alcuni elementi sintomatici, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo [87], (i) lo svolgimento di una «no genuine economic activity»; (ii) l’inesistenza di un complesso societario organizzato, professionale ed economicamente rilevante; (iii) l’assenza di impegno in un’attività economica prevalente all’inter­no dello Stato; (iv) l’esistenza di pattuizioni infra-gruppo che obblighino la retrocessione del provento conseguito alla capogruppo od altra entità controllata direttamente o indirettamente; (v) l’installazione di una società interposta conduit e “non beneficiaria effettiva” di un determinato provento; (vi) lo svolgimento della prevalente attività della controllata in uno Stato diverso da quello della fonte; (vii) coincidenze temporali sospette tra le operazioni giuridiche poste in essere tra le consociate facenti parte di uno stesso gruppo; (viii) infine, la presenza di un esclusivo motivo fiscale che abbia indotto la società ad operare la delocalizzazione al fine di erodere l’imponibile fiscale. In ogni caso, spetta al giudice di merito valutare l’effettiva rilevanza dei suddetti elementi. Il concetto di costruzione «non genuina», ricavabile ai sensi della Direttiva 2016/1164/UE (c.d. ATAD 1) e della recente giurisprudenza europea nelle sentenze “danesi”, sembrerebbe aver ampliato il campo di applicazione del­l’abuso. La Corte di Giustizia, infatti, pare aver accolto una nozione più ampia di abuso, realizzabile anche al di là di una costruzione puramente artificiosa; [continua ..]


NOTE