Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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La ripartizione equilibrata del potere impositivo nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell´Unione Europea (di Giorgio Emanuele Degani)


La ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri rappresenta una causa di giustificazione in grado di derogare i principi eurounitari. In particolare, dalla sentenza in commento e dall’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, emerge una sempre maggiore attenzione alla tutela dell’integrità fiscale dei singoli Stati membri, a scapito degli obiettivi e dei principi fondamentali dell’Unione Europea.

The balanced allocation of taxing rights in the CJEU’s case law

The balanced allocation of taxing rights between the Member States represents a cause of justification capable of derogating from EU principles. In particular, from the commented judgment and from the case law of the Court of Justice of the European Union, it clearly emerges an increasing attention to the protection of tax integrity of each Member State, to the detriment of the objectives and fundamental principles of the European Union.

Corte di Giustizia UE, sez. VIII, 30 aprile 2020, cause riunite C-168/19 e C-169/19, HB e IC c. INPS Il regime tributario italiano risultante dalla Convenzione italo-portoghese contro le doppie imposizioni sui redditi non viola i princìpi eurounitari di libera circolazione e di non discriminazione. Difatti, i pensionati del settore privato e del settore pubblico possono essere assoggettati a differenti normative tributarie nazionali, che possono determinare una diversa tassazione degli assegni ricevuti. MOTIVI DELLA DECISIONE (Omissis) Sulla questione pregiudiziale Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede se gli articoli 18 e 21 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro la quale prevede che i redditi di una persona residente in un altro Stato membro, la quale abbia acquisito integralmente detti redditi nel primo Stato membro ma che non abbia la cittadinanza del secondo Stato membro, siano soggetti a imposta unicamente nel primo Stato membro, con la conseguenza di escludere detta persona dal godimento delle agevolazioni fiscali offerte dal secondo Stato membro. In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C-125/18, EU:C:2020:138, punto 27). A questo proposito, occorre rilevare, in primo luogo, che, sebbene il giudice del rinvio non precisi se i ricorrenti nei procedimenti principali abbiano trasferito la loro residenza in Portogallo dopo aver cessato qualsiasi attività professionale o meno, esso ritiene che la loro posizione sia disciplinata dall’articolo 21 TFUE relativo alla libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione. Basandosi su tale disposizione del trattato FUE, sembra che il giudice del rinvio indichi alla Corte che il trasferimento di residenza sia avvenuto dopo la cessazione di qualsiasi attività professionale dei ricorrenti nei procedimenti principali. Pertanto, la Corte esaminerà la questione proposta con riferimento soltanto a tale circostanza. In secondo luogo, contrariamente a quanto sostengono i governi belga e svedese nelle loro osservazioni scritte, l’articolo 18 TFUE, che sancisce il principio di non discriminazione in base alla cittadinanza, è applicabile in circostanze quali quelle in esame nei procedimenti principali. Infatti, dalla giurisprudenza costante della Corte si evince che tutti i cittadini dell’Unione possono avvalersi del divieto di discriminazione basata sulla nazionalità sancito [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa: il caso - 2. Il settore dell’imposizione diretta e il ruolo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea - 3. Il divieto di discriminazione e di restrizione: il metodo di giudizio seguito dalla Corte di Giustizia - 4. Le cause di giustificazione: deroghe alle violazioni - 5. La balanced allocation of taxing rights tra gli Stati membri - 6. Conclusioni - NOTE


1. Premessa: il caso

Con la recente sentenza relativa alle cause riunite C-168/19 e C-169/19 [1], la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è tornata a pronunciarsi in ordine alle cause di giustificazione che consentono a uno Stato membro di introdurre delle misure discriminatorie e derogatorie delle libertà fondamentali. In particolare, i Giudici del Lussemburgo hanno affrontato il caso di due cittadini italiani, ex dipendenti del settore pubblico, i quali, dopo aver trasferito la residenza in Portogallo, hanno richiesto all’INPS di ricevere l’importo delle loro pensioni senza che venisse operato il prelievo alla fonte dell’imposta sui redditi (IRPEF). Tuttavia, l’INPS ha respinto tali domande in quanto, in base alla Convenzione sulle doppie imposizioni fiscali in essere tra Italia e Portogallo [2], solo l’assegno dei pen­sionati italiani del settore privato che acquisiscono la residenza di tale ultimo Stato può essere erogato “al lordo”, scontando così la minore tassazione personale del Pae­se iberico. Ciò in quanto, per usufruire di tale erogazione lorda, sono previsti diversi requisiti a seconda che gli ex dipendenti appartengano al settore privato o pubblico [3]: per i primi, è sufficiente l’acquisizione dello status di residente [4]; per i secondi è necessaria anche la cittadinanza [5]. Pertanto, secondo la Convenzione citata, per le pensioni private vi è la competenza dello Stato della residenza, mentre per quelle pubbliche ricorre la potestà impositiva dello Stato della fonte. Secondo i cittadini ex dipendenti pubblici, tale Convenzione avallerebbe una manifesta disparità di trattamento tra pensionati italiani del settore privato e quelli del ramo pubblico residenti in Portogallo, in quanto solo i primi sarebbero ammessi a godere di un trattamento fiscale più vantaggioso. La questione è stata impugnata innanzi alla Corte dei Conti [6], i cui Giudici hanno deciso di formulare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea stante la sussistenza della possibile disparità di trattamento tra le predette parti, che avrebbe potuto determinare «una discriminazione basata sulla cittadinanza e vietata dall’art. 18 TFUE, dal momento che per poter essere soggetti a imposizione in Portogallo, il requisito della residenza basterebbe per i secondi (pensionati [continua ..]


2. Il settore dell’imposizione diretta e il ruolo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Come è noto, nell’ambito delle imposte dirette [9], si è raggiunto un diverso livello di armonizzazione rispetto al comparto impositivo indiretto [10]. Ciò, sostanzialmente, è riconducibile a due fattori: da un lato, la diversa pregiudizialità delle imposte indirette e dirette nella realizzazione del mercato unico [11], inteso quale parametro peculiare per giustificare azioni fiscali convergenti da parte dell’U­nione Europea [12]; dall’altro, l’ostilità degli Stati membri nel cedere porzioni di sovranità in materia tributaria diretta e, più in generale, di politica fiscale interna [13]. Da ciò, ne consegue che gli Stati sono, in linea di principio, liberi di individuare gli elementi essenziali dei tributi diretti. Tuttavia, i Paesi dell’Unione Europea devono esercitare la propria competenza nel comparto dell’imposizione diretta in modo coerente con l’ordinamento unionale, rispettandolo e prevenendo fenomeni di discriminazione o di restrizione nell’esercizio delle libertà fondamentali [14]. Sul punto, la Corte di Giustizia svolge un ruolo di particolare rilievo ai fini dell’e­voluzione di tale settore impositivo [15]. Difatti, l’intervento dei Giudici ha consentito, e consente tuttora, di assicurare una uniforme attuazione ed interpretazione [16] dell’ordinamento eurounitario, al pari di una Corte Costituzionale o di una Suprema Corte di uno Stato membro [17]. Sul punto, occorre però segnalare che la Corte non svolge una funzione giurisdizionale “quasi normativa” [18], bensì si limita ad una attività di interpretazione teleologica dei principi eurounitari, secondo un criterio di correttezza, logicità e razionalità. Del resto, se si considera l’art. 267 [19], TFUE (già 234, TCE), emerge il potere attribuito alla stessa Corte di svolgere le predette funzioni per garantire l’uniformità del diritto eurounitario tra i vari Stati membri, evitando possibili divergenze interne [20]. Nell’esercizio dell’attività giurisdizionale, si rileva che la svolta nel settore impositivo diretto la si è registrata con la sentenza della Corte di Giustizia Commissione v. Francia – Avoir Fiscal [21]. Difatti, se con il Trattato di Roma la Comunità [continua ..]


3. Il divieto di discriminazione e di restrizione: il metodo di giudizio seguito dalla Corte di Giustizia

L’art. 18, TFUE, oggetto di verifica da parte dei Giudici eurounitari nella sentenza in commento, vieta ogni discriminazione [25] basata sulla nazionalità, nonché sulla residenza, ossia in forza di un collegamento territoriale con lo Stato membro [26]. Il metodo [27] seguito dalla Corte di Giustizia per verificare la conformità della nor­ma interna rispetto a quella unionale [28], si basa su diversi steps. Il primo, volto a definire l’ambito soggettivo, ossia permette di verificare che il soggetto che lamenta la possibile violazione del diritto unionale, sia un cittadino di uno Stato membro. Sussistendo tale requisito, nella seconda fase la Corte si sofferma sull’esercizio della libertà fondamentale da parte del titolare della medesima, sia nello Stato c.d. di origine (o market access) che in quello c.d. ospitate (o market equality) [29]. Il riferimento, in ogni caso, è ad una fattispecie cross-border, posto che quelle puramente interne ad uno Stato membro, ove un cittadino viene trattato in modo meno favorevole rispetto ad un altro del medesimo Stato, non rileva ai fini delle libertà fondamentali. In tale fase, la Corte di Giustizia fa riferimento a due direttrici: da un lato, il divieto di discriminazione, che impone di adottare un trattamento egualitario per situazioni comparabili, senza che vi sia uno svantaggio in capo al soggetto che esercita tale libertà; dall’altro, ricorre il divieto di restrizione [30] quando una norma nazionale ostacoli o scoraggi l’esercizio delle libertà fondamentali da parte del cittadino di quello Stato [31]. Nel primo caso, è necessario che il soggetto che esercita la libertà fondamentale si trovi in una situazione comparabile, ossia simile ad una fattispecie analoga interna allo Stato ospitante, e che vi sia per lo straniero un trattamento meno favorevole di quello accordato al residente. Pertanto, si dovrà ricercare un tertium comparationis per confrontare la situazione dello straniero con una puramente interna. Nel secondo, si valuterà l’effetto conseguente all’applicazione della misura nazionale, onde verificare se questa determini una dissuasione dall’esercitare in concreto la libertà fondamentale. In altri termini, la norma interna comporta un trattamento fiscale più gravoso per il cittadino che esercita la [continua ..]


4. Le cause di giustificazione: deroghe alle violazioni

Laddove la Corte di Giustizia riscontri una disparità di trattamento o una restrizione, procederà a valutare la causa di giustificazione addotta dallo Stato membro a fondamento della violazione contestata e, ciò, al fine di verificare se la discriminazione esistente possa essere considerata o meno legittima. Esistono, sostanzialmente, due tipologie di giustificazioni: le prime, espressamente previste nei Trattati istitutivi, che si basano su interessi pubblici di carattere nazionale [36] quali l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica, la moralità, la sanità, ecc.; le seconde, elaborate direttamente dai Giudici del Lussemburgo. Concentrandosi su tale ultima categoria, è evidente che la Corte di Giustizia abbia riconosciuto l’idoneità di svariati interessi nazionali atti a derogare le libertà fondamentali, sulla base del criterio della c.d. “rule of reason” [37]. Sebbene, tradizionalmente, la Corte abbia applicato una verifica su base “quadripartita” [38], la tendenza in atto è quella di adottare un giudizio “ridotto” [39] che, riscontrata la violazione, si concentra sulla verifica della proporzionalità della causa di giustificazione invocata dallo Stato membro. Difatti, per i Giudici unionali è estremamente difficile sindacare le misure nazionali in contrasto con il diritto eurounitario in quanto è necessario verificare le sottostanti ragioni politiche ed economiche che hanno portato all’adozione delle stesse disposizioni. Il giudizio, pertanto, si concretizza soprattutto sulla proporzionalità della misura, ossia sulla idoneità a realizzare lo scopo di tutela dell’interesse nazionale con il minor sacrificio possibile per i valori eurounitari. Se si considera l’intero corpus giurisprudenziale della Corte di Giustizia in materia di imposizione diretta [40], si può affermare [41]che le cause di giustificazione fondate sulla mancanza di armonizzazione delle imposte dirette [42], sono riscontrabili, ad esem­pio, nella difficoltà di ottenere informazioni da parte di altri Stati membri [43], la perdita di gettito fiscale [44], la compensazione tra un trattamento fiscale non favorevole con un altro favorevole [45] e l’eliminazione della doppia imposizione non sono state considerate valide ragioni derogatorie [46]. Al [continua ..]


5. La balanced allocation of taxing rights tra gli Stati membri

L’equilibrata ripartizione del potere impositivo rappresenta una causa di giustificazione molto rilevante, spesso invocata dagli Stati membri e avallata dalla Corte di Giustizia. Non è un caso, del resto, che anche nella sentenza in commento i Giudici del Lus­semburgo l’abbiano valorizzata, congiuntamente alle altre considerazioni svolte [50], escludendo l’incompatibilità della normativa interna asseritamente in contrasto con i principi eurounitari e, quindi, legittimando la discriminazione derivante dalla norma pattizia. Ebbene, secondo la Corte, tale regola può essere ammessa quando le norme nazionali mirino a prevenire comportamenti tali da violare il diritto di uno Stato membro ad esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività insistenti sul suo territorio, valorizzando tale ultimo aspetto. Difatti, in assenza di armonizzazione nell’ambito delle imposte dirette, gli Stati membri hanno la competenza esclusiva a disciplinare tale settore fiscale, definendo anche le modalità per eliminare la doppia imposizione [51]e individuare i criteri per ripartire tra di loro il proprio potere impositivo. Ciò, sempre nel rispetto del diritto eurounitario. La ripartizione equilibrata del potere impositivo sembra, quindi, assicurare la coerenza nell’interazione tra i vari Stati membri, coordinando i diversi ordinamenti. L’originaria elaborazione della balanced allocation of taxing rights è rinvenibile nella causa Gilly [52], nella quale i Giudici del Lussemburgo hanno affrontato una questione particolare e analoga a quella oggetto della sentenza in commento. La Sig.ra Gilly, cittadina tedesca e lavoratrice in Germania, a seguito del matrimonio con il Sig. Gilly, cittadino francese e ivi residente, ha acquistato la cittadinanza francese. Ella lamentava l’eccessivo carico tributario a cui era sottoposto il proprio reddito: difatti, nonostante la stipula di una Convenzione contro le doppie imposizioni tra Francia e Germania, i redditi percepiti dalla signora erano sottoposti a un carico tributario maggiore rispetto a quello relativo ad un cittadino francese per la medesima attività. Ciò in quanto l’accordo prevedeva il meccanismo del credito d’imposta limitato per contrastare o, quantomeno, ridurre, il rischio di doppia imposizione. Sul punto, la Corte ha rilevato che in assenza di armonizzazione [53], il [continua ..]


6. Conclusioni

Come emerge dalla precedente trattazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea tende sempre di più a tutelare l’integrità fiscale degli Stati membri, avallando delle misure nazionali [66] derogatorie dei principi fondamentali unionali. In particolare, la ripartizione equilibrata del potere impositivo è stata spesso invocata dai Paesi dell’Unione Europea e ha per oggetto la tutela della sovranità fiscale statale nel rapporto con gli altri Stati membri. Difatti, come pacificamente riconosciuto dalla Corte di Giustizia in numerosi precedenti, in assenza di armonizzazione gli Stati hanno la facoltà di esercitare la potestà impositiva diretta in modo discrezionale, e, al contempo, i contribuenti non possono trasferire liberamente il reddito generato in uno Stato verso un ordinamento con una pressione fiscale inferiore. Pertanto, detta giustificazione mira a tutelare l’interesse fiscale degli Stati membri a fronte di comportamenti abusivi ed elusivi posti in essere dai soggetti passivi. Si è inoltre osservato che una simile causa di giustificazione non comporta, in concreto, un incremento della potestà impositiva degli Stati nel tassare le fattispecie transnazionali [67], bensì si sostanzia in un mero coordinamento tra i vari Paesi al fine sempre di prevenire decrementi di gettito dello Stato considerato, dovuti sostanzialmente a comportamenti fraudolenti o abusivi del contribuente. Dallo studio del metodo di giudizio applicato dalla Corte di Giustizia e dalla sopracitata causa di giustificazione, è chiaro che vi sia una attenzione maggiore al principio di territorialità, quale criterio per assicurare la coerenza fiscale del sistema nazionale e la ripartizione equilibrata del potere impositivo a livello europeo. Tuttavia, in assenza di una compiuta armonizzazione nel comparto diretto, il rischio è che vi sia una tutela eccessiva dei particolarismi nazionali che determini una frammentazione all’interno del mercato unico. Detta tendenza di difesa acritica degli interessi degli Stati senza che vi sia una sottostante ragione giustificatrice emerge, del resto, con tutta evidenza nella sentenza in commento: se lo scopo della causa di giustificazione è quello di salvaguardare l’interes­se pubblico degli Stati membri nel prevenire e reprimere i comportamenti abusivi dei contribuenti, non si comprende, in concreto, come [continua ..]


NOTE