Il legislatore ha fatto chiarezza sugli incerti confini tra evasione, abuso del diritto e legittimo risparmio di imposta introducendo l’art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente, restringendo i confini dell’abuso delineati dalla Cassazione e rafforzando la certezza del diritto. L’equilibrio è, tuttavia, ancora precario e può essere nuovamente compromesso soprattutto se si legittima l’Amministrazione finanziaria a spostare, in via interpretativa, lo “spartiacque” tra abuso del diritto ed evasione fiscale al fine di ricomprendere, nell’alveo della rilevanza penale, anche condotte che appaiono ictu oculi come abusive.
The legislator, by introducing art. 10 bis of Statute of Taxpayers’ Rights has clarified the uncertain boundaries between tax evasion, tax avoidance and legitimate tax saving. Hence, the borders of tax avoidance as set by the Supreme Court have been restricted and the rule of law has been strengthened. This delicate balance is still precarious and may be again compromised in case the tax authorities are in a position to requalify the transactions as evasive rather than abusive, in order to subject them to criminal sanctions.
Keywords: tax avoidance, tax evasion, legitimate tax saving, tax crimes, legal certainty.
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1. La residualità della nozione di abuso del diritto - 2. Abuso e simulazione: rapporti e distinzioni ai fini dell’applicabilità delle sanzioni penali - 3. La linea di confine tra abuso del diritto e reati fiscali nella recente giurisprudenza di legittimità - 4. Conclusioni - NOTE
Tra gli elementi che caratterizzano la disciplina dell’abuso del diritto, contenuta nell’art. 10 bis del c.d. Statuto del contribuente (L. n. 212/2000) [1], assume rilevanza, ai fini della nostra analisi, il carattere residuale della nuova nozione di abuso [2]. Esso si desume dalla chiara disposizione contenuta nel comma 12 del citato art. 10 bis secondo cui l’abuso può essere configurato solo se «i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie» e cioè solo se il contribuente consegue tali vantaggi attraverso fattispecie non riconducibili all’evasione fiscale. Ai fini accertativi, la contestazione dell’abuso del diritto rappresenta, dunque, una sorta di “extrema ratio” cui ricorrere solo a condizione che sia stata previamente verificata l’impossibilità di ricondurre il comportamento contestato ad una delle fattispecie di occultamento di materia imponibile previste dalle disposizioni sulla simulazione o sui reati tributari. È stato evidenziato [3] che la definizione di una linea di confine più netta tra abuso del diritto ed evasione fiscale ha “un chiaro carattere reattivo” perché “contrasta il dilagare di una concezione totalizzante dell’abuso, di una tendenza “abusocentrica” che rappresenta l’abuso come il punto di arrivo di ogni sequenza logica riferibile al fatto dell’indebito vantaggio fiscale”. A questo riguardo Tesauro [4] sosteneva che il principio generale antiabuso era diventato “il marchio” che suggellava molte sentenze dei giudici di legittimità, quasi fosse il segno di “un grado superiore di giustizia”. La duttilità che tale strumento di contestazione presentava, nella sua originaria configurazione (basata solo sull’esistenza delle valide ragioni economiche) [5], consentiva, infatti, all’ufficio impositore la ripresa a tassazione dei vantaggi fiscali invocati dal contribuente, senza porre il dovuto accento sul carattere indebito degli stessi [6]. Era diffusa la discussa prassi amministrativa di ricorrere alla contestazione dell’abuso/elusione per fattispecie riconducibili all’evasione/simulazione al fine di opporre al contribuente la mera insussistenza delle valide ragioni economiche (extrafiscali) piuttosto che superare la [continua ..]
Proprio al carattere residuale dell’abuso del diritto quale strumento accertativo si connette un’altra importante disposizione contenuta nel comma 13 dell’art. 10 bis secondo cui “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”. Escludere tout court la sanzionabilità delle condotte abusive sulla base di un’interpretazione rigorosa del principio di determinatezza avrebbe, infatti, potuto rivelarsi una scelta non rispettosa “del principio della proporzionalità della reazione ordinamentale rispetto al disvalore del fatto” [26]. Viceversa, qualificando l’abuso del diritto come un comportamento illecito, l’art. 10 bis ha implicitamente accolto una nozione elastica del principio di determinatezza delle norme sanzionatorie nel senso che esso può ritenersi soddisfatto in relazione ad una ragionevole percezione dell’antigiuridicità della condotta [27]. Il legislatore tributario, pur consapevole del contrario orientamento della Corte di Giustizia UE (sent. C-255/2002, Halifax) secondo cui “un comportamento abusivo non deve condurre ad una punizione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro ed univoco, bensì semplicemente ad un obbligo di rimborso di tutte le indebite detrazioni fiscali” ha abbracciato l’idea che “evasione e abuso del diritto sono due profili del medesimo fenomeno: l’abuso descrive la condotta, mentre l’evasione il risultato” [28]. Pertanto, ha previsto la sanzionabilità dell’abuso solo in via amministrativa utilizzando, tuttavia, una formulazione testuale non priva di ambiguità. Secondo parte della dottrina [29] l’espressione “resta ferma” potrebbe leggersi come “un tentativo maldestro” di legittimare la pretesa sanzionatoria anche per il passato. “Una sorta di norma interpretativa camuffata, ampiamente discutibile per il sol fatto che viola lo Statuto dei diritti del contribuente, il quale pone precisi paletti per l’adozione di norme interpretative. Né, d’altra parte, è sostenibile che l’espressione ‘resta ferma’ vuol significare ‘resta ferma la situazione di incertezza precedente’” sulla applicazione delle sanzioni [continua ..]
Prima dell’intervento legislativo volto a ridurre l’estensione dell’abuso del diritto, una delle questioni che si agitavano in materia era quella della possibile sovrapposizione tra simulazione e abuso. Sul tema è intervenuta la Cassazione con la sentenza n. 20823/2020 che, ai fini della nostra analisi, offre interessanti spunti di riflessione. Il caso in esame riguarda un’operazione tra due società, l’una con partecipazione totalitaria nell’altra. La controllante ha erogato un finanziamento gratuito alla controllata allo scopo di fornirle i mezzi necessari per acquistare apparecchiature mediche che la controllata ha, poi, noleggiato alla controllante dietro corrispettivo. Le parti hanno inserito, nel contratto di noleggio, una clausola di differimento del termine di pagamento del corrispettivo al 31 dicembre 2005 e, dunque, in data successiva al finanziamento avvenuto nel 2004. Alla fine del 2005, con la successiva fusione delle due società, le obbligazioni derivanti dal finanziamento infruttifero e dal contratto di noleggio si sono estinte per confusione. L’Agenzia delle entrate contestava alla società controllata l’omessa fatturazione Iva del corrispettivo per il noleggio non già sostenendo la natura abusiva dell’operazione ma limitandosi ad affermare che il trasferimento di denaro dalla controllante alla controllata era avvenuto a titolo di pagamento del corrispettivo per il noleggio e non a titolo di finanziamento gratuito. Secondo l’Agenzia, “tutta l’operazione [è] stata studiata e predisposta al fine di far figurare i pagamenti dei servizi resi nell’anno 2004 quali finanziamenti a titolo gratuito, per non assoggettarli all’imposta iva del 20% e con l’incorporazione [della controllata] avvenuta in data 16 novembre 2005 la capogruppo [..] ha potuto beneficiare del credito Iva maturato”. In altre parole, agli occhi del Fisco, il contratto di noleggio è stato concluso per consentire alla controllata di detrarre l’Iva sugli acquisti posto che la controllante, operando in un settore che impone l’esenzione Iva sulle fatture attive, ha una ridottissima percentuale di detraibilità. Le parti contrattuali si sono altresì accordate per rinviare surrettiziamente il presupposto impositivo dell’IVA (il corrispettivo del noleggio) ad un periodo successivo all’erogazione del [continua ..]
La delega fiscale, laddove ha inteso individuare i confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale, con le relative conseguenze sanzionatorie, ha posto al legislatore delegato un compito certamente non facile. La questione assume particolare rilevanza soprattutto se si considera che il legislatore ha previsto espressamente sia l’introduzione di significative garanzie procedimentali che devono essere assicurate al contribuente destinatario di una contestazione fondata sull’abuso del diritto, pena l’invalidità dell’atto impositivo, sia la depenalizzazione delle condotte elusive/abusive. In questo nuovo contesto, la demarcazione della sottile linea di confine tra operazioni reali, formalmente rispettose delle disposizioni fiscali ancorché prive di rilevanza economica e poste in essere per motivi in prevalenza fiscali, e operazioni fittizie cioè simulate e, più in generale, connotate da un’architettura fraudolenta, assume un’importanza decisiva. Per separare le condotte abusive da quelle evasive, il legislatore tributario ha, da un lato, stabilito la loro residualità e, quindi, precisato che le stesse sono suscettibili di venire ad esistenza solo nei casi in cui non vi sono aperte violazioni di disposizioni tributarie di contenuto precettivo; dall’altro, in occasione della riforma dei reati c.d. dichiarativi, ha affermato che la simulazione è un concetto estraneo e non sovrapponibile all’abuso, con la conseguenza che le operazioni i cui effetti sono “voluti” dal contribuente non sono operazioni simulate e al più possono essere disconosciute applicando la clausola antiabuso. La distinzione tra abuso e simulazione, dunque, risiede nel fatto che le operazioni simulate sono caratterizzate dalla volontà del contribuente di non sottoporsi agli effetti che promanano dalle operazioni compiute e di conformarsi invece agli effetti di altri atti o operazioni ovvero a nessun effetto rispetto a quelli manifestati all’esterno. Viceversa, nel caso dell’abuso, poiché il contribuente pone in essere l’operazione per costruire la fattispecie applicativa del regime fiscale prescelto, gli effetti delle operazioni compiute sono accettati e voluti. In questo senso, nell’ambito dell’abuso il requisito della mancanza di sostanza economica non ha il ruolo di certificare la presenza di operazioni o negozi [continua ..]