Per le c.d. esportazioni improprie in triangolazione IVA, l’assenza di una specifica disciplina nazionale e comunitaria ha determinato il proliferare di provvedimenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate che contrastano con i principi comunitari di neutralità fiscale e di proporzionalità.
A dispetto, difatti, della giurisprudenza (europea e nazionale) che privilegia la dimensione sostanziale dell’esportazione, vale a dire la prova dell’effettiva fuoriuscita dei beni dal territorio europeo, l’Amministrazione Finanziaria riconosce l’esenzione dal tributo solo se siano stati rispettati determinati requisiti formali, focalizzando l’attenzione sulla singola transazione in luogo di una lettura unitaria dell’operazione complessivamente intesa.
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The so-called improper exports in vat triangular transactions With regard to the so-called improper exports in VAT triangular transactions, the absence of a specific domestic and EU regulation has brought to a diffusion of administrative practices from Italian tax authorities, which do not comply with the EU principles of tax neutrality and proportionality.
In this respect, while (European and national) case law usually focuses on the “substantive” dimension of exports, i.e. proof that the goods effectively left the EU territory, tax authorities allow the non-payment of VAT only if certain “formal” requirements are met, by considering the single transaction instead of adopting an holistic approach that looks to the overall transaction.
Keywords: VAT, exports in triangular transactions, non-taxation, proof of the transportation, proportionality principle
1. Considerazioni introduttive
Le continue e restrittive posizioni dell’Amministrazione Finanziaria sui tratti qualificanti le esportazioni di beni, nella variante delle triangolazioni IVA, inducono a riflettere sulla conformità dell’interpretazione erariale alla lettera e ratio della normativa nazionale ed europea ed alla lettura che di essa e dei principi generali sull’imposta sul valore aggiunto è stata offerta dalla Corte di Giustizia e dalla giurisprudenza italiana.
In particolare, la questione ha ad oggetto gli scambi in triangolazione – effettuati con paesi extracomunitari o con territori che, pur facendo parte dell’ambito doganale comunitario, ne sono esclusi agli effetti fiscali [1] – in cui partecipano, generalmente, tre operatori. Il primo, nazionale, cede i beni al secondo, residente in altro Paese membro che, a sua volta, li rivende ad un operatore estero, conferendo l’incarico al primo cedente di spedire la merce direttamente al cliente estero (c.d. esportazione diretta in triangolazione), oppure demandando a quest’ultimo il compito di ritirare la merce presso il primo cedente (c.d. esportazione impropria in triangolazione). Trattasi, in entrambi i casi, di “cessioni a catena”, con consegna (o recupero) del bene dal primo cedente all’ultimo cessionario.
Nella sua attuale impostazione, l’Agenzia delle Entrate annovera tra le esportazioni dirette soltanto quelle in cui i) il trasporto o la spedizione dei beni all’estero siano avvenuti a cura o a nome del cedente – escludendo, così, dal regime di non imponibilità i casi in cui la merce, pur effettivamente fuoriuscita dal territorio dell’Unione, sia stata trasportata dal cessionario – e tra le esportazioni improprie soltanto quelle in cui ii) il trasporto dei beni fuori dall’Unione venga curato dal primo cessionario comunitario – con esclusione delle ipotesi in cui l’effettiva e provata spedizione all’estero sia stata curata dal cliente finale.
Così inquadrati i termini del problema, la difficoltà dell’interprete nell’ascrivere una operazione triangolare al novero delle cessioni all’esportazione sembra risiedere, prima ancora che nell’assenza di uno specifico riferimento normativo per le sole esportazioni [continua ..]
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