Il sistema tributario vigente, pur contemplando misure agevolative per i possessori di beni culturali o volte a favorire l’investimento privato nel settore, si presenta disorganico e frammentario. Trascura, infatti, l’inscindibilità tra paesaggio e patrimonio storico-artistico di cui all’art. 9. Cost., il profilo della “valorizzazione” del bene culturale, nonché, spesso, prescinde da logiche premiali. Di tali principi ispiratori dovrebbe, invece, tener conto il futuro legislatore, qualora voglia affidare alla fiscalità un ruolo attivo per la tutela ma, soprattutto, la promozione del patrimonio culturale.
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Cultural heritage taxation: the "forgotten" landscape and the role of subsidiarity. Inputs for a change of perspective The current tax system, although it provides tax reliefs both for cultural heritage owners and for private investors, results incoherent and fragmented. In fact, it disregards the close relationship between landscape and historical-cultural heritage according to Art. 9 of the Italian Constitution, the “promotion” of cultural goods and, often, it does not have a rewarding rationale. These principles shall be taken into account by the lawmaker, in the view of assigning to taxation an active role for the protection and, especially, for the promotion of cultural heritage.
Keywords: cultural heritage, landscape, tax reliefs, subsidiarity, rewarding rationale
1. Paesaggio e patrimonio artistico: una tutela frammentata per un bene unico
Il sistema dei nostri valori costituzionali si fonda sull’inscindibilità tra paesaggio e patrimonio storico [1]. L’art. 9 Cost. salda, infatti, la tutela e la promozione di paesaggio e ambiente [2] da un lato a quella del patrimonio storico-artistico, della cultura e della ricerca, dall’altro [3]. Il collegamento concettuale e funzionale fra tali beni è tale da poterli considerarli un unicum [4].
I costituenti colsero, quindi, l’assoluta peculiarità italiana – l’armonia tra paesaggio [5] e patrimonio culturale – elevandolo a principio fondamenta-le [6]. Non risiede, infatti, in alcun record quantitativo il c.d. primato italiano, bensì nella secolare «integrazione città-campagna, patrimonio culturale-paesaggio, natura cultura», nella «diffusione capillare del patrimonio culturale in ogni città, in ogni villaggio, in ogni valle» [7].
L’Italia è stata, quindi, il primo paese a fare di tale unicum un principio fondamentale dello Stato [8], suggellandolo sia nel costante orientamento del Giudice costituzionale, sia, da ultimo, “positivizzandolo” nel codice dei beni culturali e del paesaggio [9], il quale, icasticamente, già nella propria denominazione proclama l’aggregazione natura-cultura. Peraltro, quanto contenuto nel codice trovava un precedente, seppur “embrionale”, nell’art. 1, lett. l), L. n. 341/1991, secondo cui «l’applicazione di metodi di gestione e di restauro, idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia di valori antropici, archeologici, storici, architettonici».
Se, dunque, l’art. 9, comma 2 deve essere letto unitariamente, anche la tutela deve modellarsi sull’inscindibilità tra cultura e paesaggio [10]. Ciò implica che, da un lato, non può essere concepibile, nemmeno sotto il profilo giuridico, la considerazione atomistica di beni collettivi funzionalmente collegati; dall’altro, la tutela non può esaurirsi nella supina e statica conservazione ma concretizzarsi, attivamente, nella promozione del patrimonio naturale e culturale, garantendone la fruizione [continua ..]
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